Di Aurora Rennella
Picasso e le sue muse
Si potrebbe pensare che su Pablo Picasso sia stato detto tutto, tale è la dovizia bibliografica con cui, nell’arco del XX secolo, la vita del maestro è stata sviscerata per divulgare il genio , lo spirito e l’anticonformismo dell’artista spagnolo.
Eppure, nonostante la notorietà delle sue vicende personali, ci viene offerta l’occasione di porre l’accento sul contrastato rapporto che Picasso ebbe con le donne.
Questo il fine di Picasso e le sue muse, mostra iconografica ospitata a Nola fino al 28 aprile, nella Chiesa dei S.S. Apostoli.
L’evento è incentrato nell’evidenziare il costante e lacerante dualismo interiore che spingeva il narcisista Pablo Picasso ad intessere relazioni amorose con donne carismatiche, quasi sempre artiste anch’esse, per poi tendere a svilirle nella personalità, riducendole a “procreatrici” da abbandonare, essendo egli , non solo l’autore, bensì il protagonista della “minotauromachia” , laddove brutalità istintiva, eros e forza generatrice primordiale equivalgono al diritto dii affermare con violenza “l’essere attraverso il possesso”.
La prima a subire l’indubbio fascino del maestro fu Marie-Thérèse Walter , appena diciassettenne, che diede alla luce Maya, secondogenita di Picasso in quanto dal matrimonio con la ballerina del Balletto Russo Olga Chochlova, rapporto finito di fatto ma mai interrotto legalmente per questioni patrimoniali, era nato il primogenito Paulo.
Durante l’estate del 1936, in un caffè a Parigi, Picasso incontrò Dora Maar, giovane fotografa jugoslava, da quel momento in poi sua compagna, modella e musa ispiratrice per ben nove anni.
Sarà proprio Dora a documentare in maniera certosina il tormento interiore dell’artista nel dipingere Guernica durante l’occupazione nazista di Parigi del 1937.
In mostra di Dora Maar sono presenti alcuni disegni inediti ed una collezione di scatti fotografici appartenenti alla serie Le temps déborde, in origine posta a cammeo dell’omonima raccolta di poesie che il poeta Paul Éluard dedicò alla moglie prematuramente scomparsa. Gli scatti fotografici, tipicamente di stampo surrealista, furono realizzati da Dora con la supervisione di Man Ray, maestro nella tecnica della “solarizzazione”, ovvero il principio secondo cui, oscurando tutto ciò che è a contorno di un volto, quest’ultimo appare evidenziato quasi come fosse illuminato dalla luce solare.
Nel 1943 Picasso conobbe la giovanissima modella e pittrice Françoise Gilot; l’allora ventiduenne sarà la compagna del maestro fino al 1953. In quest’arco di tempo la coppia ebbe due figli: Claude e Paloma.
A questo decennio appartengono sessantadue opere di Picasso esposte in mostra, di cui trentuno incisioni a bulino (tecnica che consiste nell’incidere la carta umida con una mistura di inchiostro denso inserita in un cesello) aventi come tema la Carmen di Bizet e trentuno incisioni all’acquaforte (scalfitura di una lastra metallica cerata ed immersione poi della stessa in acidi diluiti che corroderanno il metallo laddove è stato inciso, rivelando così il disegno) della serie Le Corps Perdu .
La prima serie racconta magistralmente la concezione che Picasso aveva delle donne, ovvero “macchine costruite per soffrire”. Il pensiero del maestro appare evidente nel continuo tentativo di sminuire le donne che lo amavano nelle loro abilità e nella scelta quasi ossessiva di rappresentarle come esseri imperfetti, basti pensare che utilizzava l’equilibrio sotteso nella forma di un quadrato per definire i contorni dei visi maschili e, invece, la volubilità della forma circolare per disegnare i volti femminili.
La seconda serie è invece costituita da illustrazioni eseguite per un volume del poeta americano Aimè Cèsaire. Una sorta di ritorno alle linee picassiane degli anni ’30, con continui rimandi alla graffitistica tribale e all’archetipo della fecondazione.
L’idea di un gineceo ideale e metafisico in cui il maestro si ostinava a relegare la moglie, anche se abbandonata da tempo, e le amanti, da cui di fatto non si staccava mai totalmente, fino a portarle alla pazzia o meglio, come scriveranno in molti, a sacrificarsi al Minotauro.
Impossibile sottrarsi al carisma del grande Picasso, “nessuna lascia un uomo come me” soleva dire il maestro, ma Françoise Gilot lo fece, osò farlo e Picasso, per tutta risposta, provò a farle terra bruciata intorno intimando ai galleristi parigini di non esporre le opere dell’ex amata, arrivando ad interrompere del tutto i rapporti persino con i figli avuti da lei. Fatto sta che la pittrice non si arrese, si trasferì in America e lì si affermò brillando di luce propria.
Di Françoise sono visibili in mostra due serie litografiche complete, “Pages d’amour” e “Tout dire”, entrambe del 1951. In queste opere appaiono chiarissime le influenze del maestro, tuttavia le figure sono più vibranti, dai contorni più nitidi e cariche di un pathos strabordante.
Françoise Gilot, tuttora in vita, minuta ed arzilla, a chi le ricorda dopo sessant’anni di essere “l’amante sopravvissuta a Picasso” e le chiede come sia stato vivere con uno tra gli uomini più importanti del XX secolo, risponde con naturalezza: “Mi sono sempre sentita al suo livello, e ho sempre pensato che nella vita è meglio accompagnarsi ai grandi che ai mediocri, che spesso hanno gli stessi problemi ma sono meno interessanti”.
/