Gillo Dorfles, il più grande critico d’arte contemporaneo ed artista egli stesso, è scomparso oggi a Milano, all’età di 107 anni.
Testimone sempre lucido, nonostante la veneranda età, dell’Italia che fu ma della quale non ha mai subìto in maniera stantia ed immobile il ricordo, anzi, ha vissuto prodigiosamente sempre al passo coi tempi.
Nato nella Trieste austroungarica del 1910, Dorfles non si è mai fatto mancare la curiosità verso qualsiasi cosa lo circondasse. Ha spaziato dalla medicina alla filosofia, dall’arte alla musica, dall’architettura alla moda.
Della Trieste imperiale Dorfles ricordava volentieri gli incontri giornalieri, quando era ancora piccolissimo, con uno “scorbutico” Umberto Saba, allora gestore della libreria antiquaria.
Poi la fuga a Genova con la madre mentre il padre, irridentista, si trovava al confino.
Gli anni del liceo e quelli del salotto di Olga Veneziani che gli sarebbero valsi la frequentazione con Ettore Schmitz, colui che poi sarebbe stato conosciuto con il nome di Italo Svevo.
La folgorazione per l’arte l’ebbe a Milano, lungo i Navigli, merito un po’ anche di Lucio Fontana, ma il dovere di acquisire una laurea di un certo peso lo spinse a studiare medicina specializzandosi in psichiatria, essendo attratto in particolare dall’elettroshock. Ben presto capì però di essere venuto al mondo per apprezzarne la bellezza in ogni sua forma.
L’amore per la lirica mise sulla sua strada quella poi sarebbe divenuta sua moglie: Lalla Gallignani, di cui, alla morte del padre, Toscanini era divenuto tutore.
La seconda guerra mondiale vissuta alla finestra di un casolare in Toscana, la stessa finestra da cui vide poi passare la Brigata Ebraica. Il dopoguerra, l’amicizia con Eugenio Montale, Milano che assurge a Capitale culturale d’Italia e quel fervore letterario che più volte lui stesso ha detto essersi estinto con Umberto Eco.
La ricerca del bello lo ha portato ad insegnare estetica nelle Università di Firenze, Trieste, Venezia e Milano: “L’arte è l’unica passione a cui sono rimasto sempre fedele, sin dalle prime folgorazioni dell’astrattismo di Klee e di Kandinsky“, amava ricordare spesso.
Nel 1968 ha addirittura messo nero su bianco cosa significhi il cattivo gusto con il libro “Il Kitsch, antologia del cattivo gusto”, concetto esteso poi anche all’arte moderna nella mostra della Triennale del 2012 intitolata “Gillo Dorfles: oggi il Kitsch”.
Gli anni ’80 ed il suo riuscitissimo “L’intervallo perduto”, volume in cui Dorfles riflette sul fatto che “L’uomo contemporaneo ha perso la consapevolezza del proprio tempo vissuto; si illude di vivere con pienezza questo tempo, quando, in realtà, egli è diventato prigioniero di un eterno presente”.
Accademico onorario di Brera, Membro della World Academy of Art and Sciences, Dottore honoris causa del Politecnico di Milano e dell’Universitad Autonoma di Città del Messico, vincitore del “Compasso d’oro” dell’associazione per il design industriale, Dolfres non si è mai trincerato dietro gli acciacchi dell’età, anzi ha vissuto i suoi ultimi anni con gioiosa curiosità (che sia questa la chiave della sua longevità?) verso un presente così diverso dal suo passato, alimentando una sua vecchia passione per l’alchimia, gustando i cibi e i vini che da sempre gradiva e non disdegnando l’approccio al moderno con l’uso di smartphone e pc.
In mille foto i posteri potranno apprezzarlo per la sua eleganza mai stucchevole, a noi piace ricordarlo così: un paio di “Converse” colorate ai piedi e una rivista d’arte tra le mani.
Aurora Rennella