Da De Nittis a Gemito: l’arte napoletana nel segno di Parigi

I napoletani a Parigi negli anni dell'Impressionismo

 Di Aurora Rennella

“Da De Nittis a Gemito” a Palazzo Zavallos

Chiuderà l’8 Aprile la mostra “Da De Nittis a Gemito” ospitata al Palazzo Zavallos Stigliano in via Toledo. Un’occasione pressoché unica per comprendere il desiderio di sperimentazione che pervase gli artisti napoletani nella seconda metà dell’800.

Pittura e scultura votati alla cattura di paesaggi, di vedute urbane e marine non disdegnando una curiosa immersione nel mondo orientale.

Proprio negli anni della “rivoluzione impressionista”, Parigi, di fatto allora capitale della cultura moderna, pullulava di artisti napoletani, presenti nella capitale francese oppure resi noti grazie alle loro opere esposte nei Saloni, ovvero esposizioni periodiche di pittura e scultura che in quegli anni si svolgevano al Louvre con cadenza annuale.

 

 

 

 

 

 

I massimi esponenti partenopei furono Giuseppe De Nittis e Vincenzo Gemito ma, oltre questi due, molti altri napoletani si fecero notare, inserendosi pienamente nella corrente impressionista.

Il primo a stabilirsi a Parigi fu Giuseppe Palizzi nel 1844. La sua residenza nella foresta di Fontainebleau divenne un salotto molto frequentato da intellettuali del tempo, anche Manet fu spesso suo ospite.

In questo ambiente ridondante di naturalismo Palizzi concepì, intraprese e sperimentò la tecnica della pittura en plein air, focalizzando la sua attenzione sul lavoro dell’uomo con gli animali, sfiorando così il realismo di Courbet.

Questi concetti sono pienamente espressi in “La traite des veaux dans la Vallée de la Touque”, una tela di tre metri e mezzo per cinque di cui in mostra è presente il bozzetto preparatorio.

 

 

Non tutti gli artisti partenopei quotati si trasferirono però definitivamente a Parigi. Molti di essi semplicemente soggiornarono per brevi periodi in Francia attratti dalle proposte del ricco mercante d’arte Adolphe Goupil, che collocava le loro opere alle Esposizioni Universali, a patto che esse fossero rappresentative di una pittura alla moda e facilmente comprensibile anche dagli acquirenti meno colti.

Caso tipico è Francesco Netti, il cui dipinto più significativo in mostra è senza dubbio “Sortie du bal”.

In quest’opera una compagnia di netturbini solleva un vortice di polvere dalla forte valenza metaforica, risucchiando così le maschere che tornano a casa dai bagordi notturni. Una sorta di “pittura della vita moderna” intrisa di denuncia sociale.

La riproduzione tramite stampa delle opere esposte nei Salon fece sì che esse fossero conosciute anche sul mercato americano che apprezzava particolarmente le vedute della coste intorno Napoli o comunque scene di vita tipiche dell’Italia meridionale come in “Route de Torre Annunziata à Pompèjì” di Francesco Lord Mancini, in “Uno sposalizio (Costume di Basilicata)” di Giacomo di Chirico e in “Spiaggia a Capri” di Antonino Leto.

Negli anni del Risanamento post colera Napoli viene pervasa da un eclettismo architettonico di puro stampo francese, visibile lungo il “Rettifilo” con il Palazzo dell’Università e i Palazzi della Borsa e nella Galleria Umberto I.

Le grandi opere cominciarono ad attrarre molti turisti stranieri, si moltiplicano gli alberghi lungo Riviera di Chiaia, siamo nel periodo d’oro dei Cafè Chantant ovvero in piena Belle Èpoque.

In questo scenario storico-culturale operarono artisti come Giuseppe de Sanctis, presente in mostra con tante opere tra cui “Figure nel parco della Villa Comunale di Napoli” ed Ulisse Caputo di cui è possibile ammirare “La Senna dal Louvre (Le Pont des Arts)”.

Emblematico è il caso di Antonio Mancini, legato a Goupil con un contratto in esclusiva e tendente alla raffigurazione di malinconici scugnizzi napoletani simboleggianti le disparità che nel tessuto sociale napoletano erano allora evidenti.

Splendido esempio di ciò è il dipinto “Saltimbanchi suonatori”.

Mancini nel periodo parigino portò con sé il suo modello preferito, Luigiello, un orfano che impersonava appunto lo scugnizzo onnipresente nei suoi quadri.

Il periodo fausto non durò però a lungo.

L’artista, stremato dall’immensa mole di lavoro, lasciò la Francia travolto da crisi di follia che sfociarono poi in espressivi autoritratti, non prima però di convincere Vincenzo Gemito, suo coetaneo, a raggiungerlo in Francia.

E fu così che quest’ultimo si impose come protagonista della “rivoluzione della scultura moderna”, sperimentando nei suoi bronzi il tema del “giovane pescatore” e realizzando nel 1877 il “Pêcheur napolitain”, opera che lo consacrò alla grandezza quale artista in grado di coniugare la statuaria antica e la modernità della ricerca del vero.

Nel frattempo sul fronte pittorico il mito della Ville Lumière resisteva come fonte di ispirazione. Pittori come Edoardo Tofano e Vincenzo Migliaro divennero così interpreti straordinari di quella consapevole, sensuale ed emancipata femminilità sorpresa di sfuggita lungo i boulevard, nei caffè e nei teatri della nuova Parigi disegnata da Haussman.

Uno stile di vita “alla francese” che in men che non si dica si sarebbe diffuso anche a Napoli, città salottiera e tirata a lucido per le nascenti ambizioni mondane della borghesia, città dal cuore antico, dalle problematiche sociali insormontabili ma gaudente nell’aprirsi al nuovo secolo.

DaDeNittisaGemito

Napoli, 8 marzo 2018

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