Napoli in due anni trenta punti in meno. Quali le cause?

 

di Marco Bruttapasta

Sabato  Napoli-Lazio concluderà la stagione 2019/20 degli azzurri.

Nella migliore delle ipotesi, gli azzurri arriveranno a quota sessantadue punti, all’incirca trenta punti in meno rispetto all’ultimo Napoli di Sarri, che raggiunse novantuno punti nell’annata 2017/18.

In due anni circa trenta punti in meno, in pratica uno tsunami calcistico.

Il crollo appare ancora più evidente se si guarda la differenza reti: due anni prima le reti segnate furono settantasette contro ventinove subite, oggi lo score recita cinquantotto a quarantanove, ad un turno dall’epilogo. Ancor più allarmante il divario con le reti segnate dal Napoli di Sarri nel 2016/17, ben novantaquattro.

Cosa ha determinato questo crollo, se pensiamo che un anno fa il Napoli di Ancelotti non aveva avuto numeri tanto dissimili, avendo registrato uno score di settantaquattro a trentasei?

Proviamo ad analizzare le cause.

La gestione Ancelotti dal mercato alle scelte di campo

A distanza di pochissime ore da Napoli-Crotone, ultima panchina di Sarri a Napoli, De Laurentiis, sorprendendo stampa e tifosi, ingaggiò uno dei pochi tecnici in grado di far metabolizzare immediatamente l’addio del tecnico ex empolese: Carlo Ancelotti.

L’avvento di Ancelotti fece ipotizzare un ampio rinnovamento della rosa.

Sul piede di partenza sembravano essere Reina, Jorginho, Hamsik (seguitissimo dalla Cina) ed alcuni giocatori teoricamente non in linea con le idee calcistiche del tecnico emiliano: Hysaj in primis e poi Callejon e Mertens, per far posto, con la dismissione dei loro ingaggi, a giocatori più esperti.

Napoli più che un cambio tecnico, sembrava vivere un cambio societario: nei giorni dell’estate 2018 si vociferava quotidianamente di telefonate di Re Carlo a giocatori dal curriculum importante per abbracciare la causa partenopea.

Sembra passato un secolo ma due anni fa, di questi tempi, i media ritenevano quasi certo l’arrivo di giocatori come Benzema, Vidal, David Luiz,Fabregas, Di Maria e, verso fine ritiro, di Edinson Cavani.

Alla fine il mercato fu invece decisamente in linea con la tradizionale politica societaria.

Al posto di Reina non arrivarono i nomi ipotizzati a inizio mercato, ossia Leno e Rui Patricio, ma un giovane, seppur fra i più promettenti del panorama italico: Alex Meret.

Solo l’infortunio del portiere friulano al primo giorno di ritiro, spinse la società ad ingaggiare un profilo di comprovata esperienza internazionale come Ospina.

Non arrivò il terzino destro di spinta che doveva rappresentare l’emulo dei Carvajal, degli Oddo e dei Cafù di precedenti esperienze fortunate del mister.

Per vari motivi naufragarono in extremis le trattative avanzatissime con l’austriaco Lainer, con Arias e Sabaly e si giunse ad una conferma, in veritànon troppo convinta, dell’albanese Hysaj, giocatore tra i più “sarriani” dell’intera rosa.

A centrocampo la cessione di Jorginho generò vari rumors su giocatori che ne potessero raccogliere il testimone: Torreira della Samp, il viola Badelj e lo slovacco Lobotka i nomi più ricorrenti.

Alla fine la mancata cessione di Hamsik, spinse la società a rinunciare ad un investimento nel ruolo, vista la spesa già sostenuta per Ruiz, inizialmente concepito come successore di Marek.

In avanti non arrivò il grande nome tanto auspicato dalla piazza ed il Napoli puntò tutte le fiches su Mertens ed il recupero di Milik.

La prima stagione del tecnico emiliano

Nei piani di Ancelotti inizialmente v’era il mantenimento del vecchio impianto tattico, 4-3-3, con minore ricorso al possesso palla e maggiore ricerca di profondità e allargamento del gioco.

Le difficoltà emerse in copertura nelle vittorie con Lazio e Milan e la sconfitta esterna con la Samp convinsero ben presto l’allenatore ad affidarsi al caro 4-4-2 .

Pur non incantando, il Napoli sembrava così trovare equilibrio e dalla quarta giornata fino alla diciassettesima i punti persi, su quarantadue a disposizione, furono solo sette.

Alla diciottesima giornata il Napoli, perdendo a Milano con l’Inter, si ritrovò in una condizione strana di classifica, troppo lontana dalla Juventus (9 punti) e troppo al riparo dalle contendenti per la qualificazione Champions.

Gli azzurri virarono al giro di boa con quarantaquattro punti, media rispettabilissima, con ben dieci punti sulla quarta poltrona, occupata dalla Lazio ma con un distacco oggettivamente demoralizzante dai bianconeri.

Il girone di ritorno fu quindi piuttosto anomalo.

Il Napoli ebbe una chiara involuzione, collezionando trentacinque punti, attribuita da molti alle scarse preoccupazioni di classifica.

In realtà vi fu una concausa particolarmente sottovalutata.

Tra fine gennaio e inizio febbraio il Napoli vide depauperarsi il proprio centrocampo, con la cessione di Marek Hamsik, attratto dal contratto della vita in Cina, le continue noie fisiche di Diawara e la partenza di Rog, che pure aveva trovato spazio nel girone d’andata.

Vi fu un quarto elemento in mediana, inoltre, assente mentalmente da gennaio: il brasiliano Allan, irritato con la società per la mancata cessione al Psg che offriva ponti d’oro al giocatore per sopperire a gravi lacune d’organico.

La fragilità del Napoli nel reparto nevralgico del campo emerse prepotentemente nel doppio scontro con l’Arsenal in Europa League, con i Gunners che eliminarono fin troppo agevolmente gli azzurri.

Un altro campanello d’allarme inascoltato fu la precoce eliminazione anche in Coppa Italia, per mano del Milan di Gattuso.

Il mercato 2019/20 e il grande equivoco James Rodriguez

Nonostante gli scricchiolii della primavera precedente non fossero stati sottovalutati dalla società, pochi tra tifosi e addetti ai lavori osavano esprimere perplessità sull’operato di Ancelotti e, anzi, molti ritenevano che dopo un anno di rodaggio, si potesse finalmente apprezzare al meglio il lavoro del coach.

L’estate 2019 si rivelò un lungo sabato del villaggio in attesa dell’arrivo di James Rodriguez, trequartista colombiano in disgrazia al Real ma dal grande feeling con Ancelotti.

Tra tweet del Napoli allusivi e tweet di giornalisti, molto vicini alla società azzurra, certi della felice conclusione della trattativa, il tecnico lavorò ad un Napoli con il trequartista, ignorando in toto la penuria di centromediani in rosa.

Dal mercato a centrocampo giunse il solo, giovane Elmas (non certo un metronomo) e con il passare delle settimane si capì che James Rodriguez sarebbe rimasto un’utopia.

Alla fine il vero colpo del mercato azzurro fu Lozano, giocatore della scuderia Raiola, inizialmente vicino all’azzurro mentre impazzavano le voci su un possibile addio di Insigne, sul finire della precedente stagione, poi acquistato nonostante la permanenza del napoletano.

Nasceva con questo peccato originale il Napoli della stagione attuale, indebolito dalla cessione di Albiol e rafforzato, in teoria, con Manolas, forte ma poco complementare compagno di difesa per Koulibaly, il terzino destro Di Lorenzo e lo stagionato Llorente, reduce dalla finale di Champions League disputata con il Tottenham.

Troppe situazioni contrattuali irrisolte

Il Napoli 2019/20 non nasceva così sotto una buona stella, in parte per il mancato arrivo del trequartista, in parte per molti mugugni tra i giocatori in rosa.

Se Callejon e Mertens iniziavano la stagione con il contratto in scadenza, Allan ancora risentiva del mancato approdo a Parigi e del mancato adeguamento di contratto, mentre Insigne chiedeva ed otteneva dall’allenatore di tornare a compiti tattici per lui più congeniali.

 

Era complessa anche la situazione contrattuale di Milik, in scadenza nel 2021 ed oggi lontanissimo da un rinnovo, mentre già in estate giravano voci su un rinnovo, ad oggi mai formalizzato di Maksimovic e Zielinski.

A  complicare l’umore di Milik le troppe voci su un interesse del Napoli per Icardi, già seguito dal Napoli nel 2016, nelle settimane successive all’arrivo del lanciere.

In questo clima è iniziata la stagione, con gli azzurri che tra Firenze e Torino sponda Juve in due gare collezionano tre punti, segnando tanto ma incassando altrettanto, sette reti e sette reti, denotando preoccupanti squilibri tattici.

La vittoria con il Liverpool, unitamente a quelle con Lecce e Sampdoria fa pensare ad una stagione sulla falsariga della precedente, ma ben presto emergono i problemi.

Il Napoli perde in casa con il Cagliari, per sfortuna ed errori arbitrali, quando vince lo fa con grandi sofferenze,in casa con Brescia e Verona, e perde punti in serie in partite abbordabili, a Torino con i granata, in casa della Spal, accumula distacco dalla zona Champions perdendo a Roma e pareggiando in casa con l’Atalanta in una gara pesantemente condizionata dall’arbitro.

In questo clima si arriva a Napoli-Salisburgo, gara in teoria utile agli azzurri per raggiungere gli ottavi di Champions, in realtà prologo ad una pesante rottura tra i giocatori, il tecnico e la società dopo l’ormai celeberrimo ammutinamento degli atleti, contrari al ritiro imposto dalla dirigenza e con il tecnico, che dapprima si schierò pubblicamente contro l’ipotesi ritiro, salvo poi raggiungere con il proprio staff Castelvolturno nonostante l’assenza dei giocatori.

L’autodeleggitimazione di Ancelotti spinge il club ad un veloce cambio della guardia, di fronte a risultati sempre più preoccupanti.

Se in Champions il Napoli conquista agevolmente gli ottavi, in campionato gli azzurri raggiungono il poco rassicurante trend di cinque punti in sette partite senza vittoria.

La scelta cade su Rino Gattuso, reduce da una discreta esperienza sulla panchina rossonera del Milan.

L’avvio è schock con tre punti in quattro gare.

L’assenza di un centrocampista centrale complica i piani del tecnico calabrese che ruota Allan e Ruiz nel ruolo che fu di Jorginho, nel tentativo di ripristinare il 4-3-3 di sarriana memoria, su pressione della piazza e della società.

L’arrivo a gennaio di Demme e Lobotka regala nuovi equilibri, nuove opzioni all’allenatore ed i risultati iniziano a venire.

In campionato dopo aver virato a ventiquattro punti, il Napoli nel girone di ritorno inizia a macinare punti, conquistandone trentacinque, quota su cui pesa la flessione delle ultime settimane, legata a diversi fattori: in primis l’assenza di obiettivi di classifica dopo la vittoria in Coppa Italia e la conseguente qualificazione europea oltre che l’anomalia del torneo post lockdown, con impegni continui in piena estate.

Conclusioni:

Il Napoli di oggi presenta un gap così importante rispetto a due anni fa per una serie di fattori.

Le partenze di Reina, Albiol, Hamsik e Jorginho hanno indebolito il Napoli sul piano caratteriale e dal punto di vista tecnico hanno decisamente impoverito la qualità del palleggio azzurro, specie nel far partire l’azione dalle retrovie.

I nuovi arrivi hanno dato un apporto discontinuo.

Meret rappresenta tra i pali un evidente upgrade rispetto a Reina, ma denota ancora pesanti deficienze nel giocare il pallone con i piedi.

Il greco Manolas, pur offrendo buone prove, non pare in grado di raggiungere con Koulibaly lo stesso affiatamento di Raul Albiol, in parte per alcune caratteristiche molto simili al senegalese ed in parte per l’annata particolare vissuta dal giocatore africano.

Ruiz ha mostrato evidenti segni del talento palesato a Siviglia, ma ha denotato troppa discontinuità.

Demme e Lobotka hanno colmato una grave falla nell’organico azzurro ma sono lontani dagli standard di rendimento raggiunti dal miglior Jorginho.

E’ stato nullo, fin qui, l’apporto dato da Lozano, investimento ingentissimo della società.

Gli arbitraggi in questa stagione sono stati decisamente discutibili. Senza ripercorrere i vari orrori arbitrali, emerge un dato: solo quattro rigori per gli azzurri, in una stagione decisamente prolifica di penalty per gran parte della serie A.

A questi elementi va aggiunta la generale involuzione degli avanti azzurri.

Il trio Mertens-Callejon-Insigne è passato dai trentasei goal della stagione del quasi-scudetto agli scarsi venti goal attuali, ma se si guarda alla stagione 2016/17 è ancor più evidente la flessione dei tre. Nel 2017 in tre i giocatori assicurarono al Napoli sessanta reti!

Non c’è stato l’apporto sperato da Milik: il polacco ha segnato undici reti mentre nelle stagioni degli infortuni, nonostante un minutaggio decisamente più scarno, il polacco aveva realizzato cinque reti.

Nelle ultime settimane l’apporto dell’ex Ajax è parso particolarmente deludente, forse per la consapevolezza della partenza verso altri lidi.

Ruiz e Zielinski non hanno assicurato l’apporto realizzativo di un Marek Hamsik: giusto due reti a testa per i due interni mentre lo slovacco realizzò sette reti nella stagione dei novantuno punti e un anno prima ben dodici reti.

Da questi dati emerge la necessità forte per il Napoli di dotarsi di altri giocatori in grado di fare goal.

Callejon e Milik non rimarranno, Mertens non ha nei piedi i numeri degli anni scorsi, da Politano non si possono ipotizzare le cifre raggiunte dallo spagnolo mentre è incerto il futuro di Lozano.

Debbono aumentare i goal degli interni Ruiz e Zielinski, mentre non va sbagliata l’eventuale successione di Allan, magari con un Veretout.

Il Napoli per tali motivi sembra vicinissimo a Osimhen e pare voler fare di tutto per poter acquistare Boga, giocatore in grado di saltare l’uomo, caratteristica del tutto deficitaria nel nostro organico.

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