Napoli Atalanta del 1986: come Brera raccontò gli azzurri

Tra i precedenti che vanno ricordati tra Napoli e Atalanta, sperando che sabato sia disputata regolarmente, bisogna annoverare il match disputato nel 1986. Il Napoli di Bianchi non aveva iniziato in modo esattamente trionfale la stagione.

Vi era stata l’eliminazione dolorosa di Tolosa, Maradona si esprimeva a sprazzi anche per la vicenda della paternità del piccolo Maradona jr.

La squadra, inoltre, risentiva oltremodo dell’assenza di un regista, Pecci era tornato a Bologna e dal mercato non era arrivato nessun secondo straniero a sostituirlo.

E così quel Napoli, ancor privo del risolutivo Ciccio Romano, alternava prestazioni convincenti come le vittorie con Torino e Samp, ad altre sconcertanti come quelle con Udinese e appunto Atalanta.

La squadra di Sonetti, che poi retrocesse a fine stagione, a Napoli addirittura giunse a un passo dalla vittoria, spingendo i tifosi azzurri a fischiare .

Così un monumento come Brera descrisse quella domenica amara, una delle ultime quell’anno prima della cavalcata trionfale, per i colori azzurri.

 

NON SI VIVE DI SOLI GOL

CELEBRATA la VI di campionato. Quando ero giovane e ci credevo con maggiore slancio (o candore, come vi piace), solevo scherzosamente iniziare i pezzi confortati da pronostico azzeccato con un ricordo mosaico: “Io sono il signor tecnico tuo, non avrai altro tecnico all’ infuori di me”. Oggi ricordo a malapena di avere scritto sabato che il solo elemento contrario alla domenica napoletana era il pronostico troppo favorevole. Si parlava a Napoli di possibile sorpasso perchè, temerariamente, si considerava più facile l’ Atalanta al San Paolo dell’ Ascoli ad Ascoli per la Juve. E’ puntualmente accaduto che la logica venisse battuta in breccia. Il Napoli ha addirittura sfiorato la sconfitta con i bergamaschi e la incompletissima Juventus (fuori Laudrup, Manfredonia, Serena e Cabrini) ha mortificato l’ Ascoli in goleada. La Juventus è tornata a condurre con un punto di vantaggio in classifica e ben 2 in media inglese. La goleada di Ascoli è spiegabile secondo metro solito: Sensibile non deve aver ancora afferrato l’ importanza di 20 metri in più o in meno sul piano tattico. L’ Ascoli ha preteso di giocare alla pari con una Juve apparentemente derelitta. Subito un gol dopo quasi mezz’ ora, si è lanciato a testa bassa per la rimonta e ne ha preso un secondo (sempre da Briaschi). Il povero Costantino Rozzi ha avuto le traveggole erogando gratuito fiele contro il miglior arbitro italiano, che è pur sempre Casarin. L’ olimpico Marchesi è andato ancora in gol con Bonetti II e Buso, due trepide riserve. Alla fine, boccheggiando gli ascolani, ancora una volta umiliati in casa, ha tentato la prodezza balistica Platini ed ha fatto centro lui pure. Ora il pericolo è che la Juve si ritenga da molto. Marchesi ne ha perfettamente valutato i limiti. Le conviene affrontare il Bernabeu lottando in spazi minimi. Che se la confidenza degli spagnoli offrirà il destro a qualche rivalsa in contropiede, tanto meglio per i campioni: al disopra del tifo, questo dobbiamo ricordare: che la Juventus ci rappresenta tutti al cospetto dell’ Europa e del mondo. Il pareggio del San Paolo è ispirato alla più vieta presunzione. Noto come ora si accorgano tutti che De Napoli è alle soglie della sbornia agonistica. La palla che perde banalmente davanti all’ area consente all’ Atalanta di infilare l’ 1-1; e l’ altra palla graziosamente servita di mala ciabatta da Garella offre a Incocciati il destro di cogliere il 2-2. Sentiremo anche Stromberg deplorare se stesso per l’ errore commesso in occasione del possibile 3-2. Maradona viene calciato a sinistra e perciò si distrae a destra (distrarre un muscolo, che non significa strappare). Il patriarca de oro chiede invano a Bianchi di venire sostituito. Bianchi sa troppo bene come gli indiani assedianti il forte possano prendere per vivi certi difensori allineati rigidi al sommo della palizzata. Se Maradona esce, l’ intrepida Atalanta può pure convincersi di dover dilagare. Il superbo Platini ha già sentenziato che subire due volte il pareggio dell’ Atalanta in casa propria non è precisamente indicativo di una condizione da scudetto. La galloria francese prende anche gli oriundi novaresi dopo un 5-0 fin troppo facile (e per vero dire insperato). Tre vittorie da tuoni e fulmini sono state ottenute fuori casa da protagoniste designate: la Juventus ad Ascoli, la Roma a Torino, il Milan a Pistoia (contro l’ Empoli). Luis Radice ha assistito con crescente sdegno al nuovo trionfo del contropiede, applicato questa volta dalla Roma. Eriksson mancava di Nela, Ancelotti e Pruzzo. Ha atteso che il Torino si sfiatasse, poi l’ ha infilato con le due riserve di più recente acquisto: Berggreen e Agostini. Anche a Torino (come a Napoli) ha deciso una papera del portiere. Critici torinesi di fede torinista accusano Radice di aver male impostato la squadra condannando i migliori a scoppiature inevitabili (Junior e Dossena, tanto per non far nomi). Il Milan ha trionfato dell’ Empoli che, ironia, la domenica inaugurale aveva preso anche l’ Inter per il bavero. Utile ancora una volta l’ esclusione di Hateley e, in partenza, di Wilkins. Visto Massaro arrestare di ginocchio una palla-gol da battere comodamente con il destro. Utile il palleggio fitto contro i giovani velleitari dell’ Empoli. Galderisi vivace e intraprendente anche nel pressing. Massinissa Virdis tenuto per il 3-0 a uno slalom da prestipedatore insigne. Complessivamente, il Milan risulta ancora degno di ogni rosea speranza. Non fosse per quella confidente difesa a zona, ci si potrebbe scommettere senza passare per folli. Naturalmente, Lidas ha onorato il paradosso affermando che il gioco espresso nel derby era migliore. E anche quello con l’ Ascoli, pensa te! Accusato di sindrome catenacciara sul bellissimo campo del Como, Bersellini ha preso cappello com’ era giusto. Si è difeso, cos’ altro avrebbe dovuto e potuto? Il bellissimo Como si è meritato le sincere lodi dei fiorentini: apprezzando la squadra che avevano eguagliato, hanno dimostrato di avere decente coscienza di sè. Il Como è stato raggiunto dall’ Inter e dalla Roma a quota 8. L’ Inter ha battuto la Samp su rigore. Ha giocato piuttosto male ma tutti hanno visto Cerezo sgrullare di capo sopra la traversa un’ incornata di Altobelli che aveva già superato Bistazzoni: sarebbe stato il 2-0. La Samp ha alternato giocatine briose e promettenti ad altre di banale e brocchesca natura. Vialli e Mancini hanno accennato a prodezze rimaste incompiute. Vano è stato il quasi costante predominio del centrocampo di Boskov, al quale si opponevano – oh, slegatissimi – Matteoli, Tardelli, Baresi I e Piraccini. Per fortuna, la gran difesa dell’ Inter ha vietato squisitezze sampdoriane davanti a Zenga il magnifico. Trapattoni ha imposto alla propria squadra di bloccarsi su equidistanze minime: solo il carisma di un grande tecnico può ottenere questa autolimitazione da giocatori decisamente sopravvalutati. Detto fuori dai denti, l’ Inter non varrebbe il Milan ma, condotta con ben maggiore pragmatismo, riesce per ora a dare di più. Conviene tuttavia che i fratelli bauscia non si illudano più che tanto. Il ritorno di Kalle non ha spalancato orizzonti nuovi: li ha ridotti invece l’ assenza di Fanna, che pure non è un taumaturgo famoso. L’ Avellino è passato indenne da Verona e Bagnoli gliene fa un merito nonostante mancasse di Larsen, Giuliani e Di Gennaro, quanto dire la spina dorsale della squadra. E’ tornato a contundersi Rossi, che somigliando molto a Sindelar meriterebbe anche il suo soprannome: Cartavelina. Il Brescia ha vinto la sua prima partita aspettando l’ Udinese alle precarie forche della ripresa. De Sisti lamenta incidenti gravi, che solo il furor agonistico riesce a spiegare secondo logica. Però l’ Udinese si era già seduta con il Verona nel secondo tempo. Per quanto assatanati dall’ orgoglio, i calciatori permangono uomini, cioè fragili creature che la corsa eretta affatica in modo particolare. Ciao.

 

 

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