di Marco Bruttapasta
Il ruolo del regista a Napoli anche quest’anno, con la scelta dell’arretramento di Marek Hamsik, provoca sospiri, dubbi, dibattiti nella tifoseria azzurra.
Una maledizione quella del regista, quasi come se un uomo d’ordine nella dionisiaca Napule fosse un ossimoro, un controsenso.
Risalendo all’epoca Diego, ci fu un anno in cui a dispensare geometrie ci fu Eraldone Pecci, non ancora voce in seconda di un insofferente Pizzul.
Aveva vinto lo scudetto, ma con il Toro, il buon Pecci e stette a Napoli dodici mesi, il tempo di utilizzare Diego come antennista e di servirigli l’assist, parole sue, per il “tanto gli faccio goal comunque” della mitologica punizione, sotto il “patapato” dell’acqua, contro la Juventus.
Volle tornare a Bologna , Pecci, sotto le Due Torri e lasciò il Napoli con un vuoto, fino a ottobre.
Si parlava di Barbas, di Junior, perfino di Falcao, quando dopo un avvio incerto, tra Tolose e paternità maradoniane, Marino si presenta con Ciccio Romano, nato a Saviano, da tempo esule a Trieste dopo buoni esordi nella Milano rossonera, ormai dimenticati.
Manco il tempo di dare del pappone a Ferlaino, -vero Vico?-e Romano trasforma la manovra del Napoli, fino ad allora farraginosa assai, in un piacevole preludio ai numeri di Diego e Bruno Giordano.
Romano detta geometrie fino ad una maledetta gara di coppa con il Paok, cade, si rialza, esce in lagrime. Infortunio grave, stagione compromessa e sostanzialmente il vero Romano non lo rivedremo mai più, manco in maglia granata dove finì.
Quel Napoli cercò la regia perduta in Alemao, ma il tedesco era tutto fuorchè un compassato direttore di centrocampo, era un assaltatore, un lottatore, un Allan con più appeal.
Tra Bianchi,Bigon e Ranieri di fatto la regia venne a mancare,fino a Jonas Thern, giocatore essenziale pescato dalla Nazionale svedese.
Un biondino che acquisì un certo accento napoletano che faceva simpatie e che poi per le casse asfittiche di quei tempi là, dopo la bella annata con Lippi dovette salutare e dirigersi a Roma.
Arriva Boskov, dopo l’intermezzo di Guerini, ma di regia manco a parlarne. Prova a dare qualche geometria Boghossian, quando gli acciacchi glielo consentono, ma il franco armeno si esalta più nella lotta, talvolta ci prova Cruz con i suoi piedi educati a fare pure il capo cantiere ma non è la stessa cosa. Boskov ci prova pure con Fausto Pizzi, arretrandolo dalla trequarti dove l’ex interista avrebbe qualche velleità ma ancora con risultati così così.
Dopo Simoni e Montefusco, il Napoli dell’annata maledetta dei 14 punti si troverà con una pletora di registi, si chiede dapprima ai prodotti interni Altomare e Longo di mettere ordine, ma siamo lontani da livelli di eccellenza, Mazzone lo chiede a Giannini, il tempo di una quasi rimonta epica in Coppa Italia in un derby personalissimo dei due capitolini contro la Lazio, e i due salutano, Galeone si affida ad Asanovic, fisico alla Pecci, lentezza da uallarito Sosa ante-litteram, che poi , come ennesimo paradosso di una stagione folle, farà in estate un grande Mondiale con la Croazia. Si va in B e il Napoli cerca ancora tracce di grandeur in Shalimov, che ci buttò fuori dalla Coppa con lo Spartak Mosca e in Italia era stato uomo copertina con Foggia e Inter.
Il russo nel Napoli del duopolio Ulivieri-Juliano si trascinava stanco in campo come affetto da abulia acuta.
Altro giro, altra corsa, altra B, arriva Matuzalem, nessuno sa chi sia, ma il ragazzo è talentuoso, per quanto Novellino, salito al timone, doveva penare per tenerlo lontano da latticini e movida napulegna.
Dopo una A passeggera, si torna a penare in B, De Canio sfiora il colpaccio senza regista, mentre Marcolin Dario, ex grande promessa della Cremonese, tesse le fila dei Napoli brutti di Colomba, Scoglio, Agostinelli e Simoni.
Il Napoli fallisce, il Napoli risorge ed Aurelio pesca subito l’ex stabiese Fontana, regista talentuosissimo, misteriosamente sempre rimasto ai margini del grande calcio.
Fontana ha cazzimma e lo si vede nelle punizioni, ma dura poco a Napoli, Reja per la promozione l’anno dopo si affida a Mariano Bogliacino, arretrato dalla trequarti che anche in B sarà l’unico a dare del tu al pallone in un centrocampo di onesti operai.
Si va in A, si industria in regia qualche volta Gargano, impropriamente paragonato a Pizarro da Marino, avremo un minimo di raziocinio dal foggiano Pazienza fino all’avvento di Inler.
Tutta Napoli spantecò due anni per l’avvento del turco-poi napoletano. Tiro da fuori, ordine ma a volte movenze da moviola di Carlo Sassi.
Ne trae qualche beneficio Benitez che lo affiancherà in condominio a Jorginho, timido scugnizzo brasileiro, sbarcato a Napoli dopo quattro mesi quattro di A con l’Hellas Verona, mentre Napoli si aspettava Lucas Leiva o qualche toppleyer.
Napoli non si innamorerà subito di Jorginho, anzi saluterà con una certa benevola curiosità l’avvento di Valdifiori, che però dimostrerà dopo pochi minuti in campo quanto il Castellani di Empoli possa condizionare meno del San Paolo: in Romagna un uomo con il radar nei piedi, assurto alla gloria dell’Italia di Conte, a Napoli, dopo i promettenti esordii in Trentino, un impiegato del catasto sparuto e tristo, che farà sembrare beffardi gli strali del suo procuratore, Giuffredi tu quoque?
Sarri ripudia il suo ex pupillo e si innamora di Jorginho, l’ex veronese mano mano vincerà lo scetticismo della platea di Fuorigrotta che gli contestava l’anoressia e il tiro non proprio al fulmicotone, salvo poi riconoscerne la sagacia tattica.
Dopo tre anni di egemonia jorginhesca,l’italobrasiliano parte, con lui il suo mentore e Napoli si affida a Marek per il ruolo più delicato.
Ancelotti ci crede, il tifo solleva lui il sopracciglio, gli avvi sono incerti ma Carletto ha un precedente in fatto di metamorfosi promettente assai: un certo bresciano….