Francini: “Sarri è uno dei migliori tecnici in circolazione. La sua permanenza una questione di programmi”
Cuore Toro e Cuore Azzurro: due aspetti della stessa passione
Giovanni Francini rappresenta il punto di incontro tra l’ultimo Napoli vincente, e quello attuale. Non a caso, nell’immaginario collettivo di tifosi e addetti ai lavori, dopo il “Francio”, la fascia sinistra ha avuto solo attori non protagonisti ad interpretare il ruolo di fluidificante. Fino a quando, a rivendicarne l’eredità, non è arrivato Ghoulam. E la catena mancina degli azzurri ha trovato un altro top-player. La cosa che sorprende, parlando con Francini, è la spensierata disinvoltura con la quale utilizza il pronome “Noi”. Usando, cioè, il plurale, riferendosi invece a sé stesso. Sia ben inteso, non è mania di protagonismo. Tantomeno egocentrismo esasperato. Il fatto è che Francini, quando parla del Napoli, lo fa come se fosse ancora un giocatore in attività. Come se quelle sette stagioni a fare su e giù per il campo non fossero mai passate. E’ un “Noi” carico di significati, utilizzato per condividere e rendere partecipi i napoletani della paternità della sua infinita passione. Per la città, e per la squadra che la rappresenta. Non tanto e non solo perché una volta a settimana è ospite di una nota tv locale, in qualità di opinionista e commentatore. Quanto, se non soprattutto, perché Napoli gli è entrata sotto pelle, insinuandosi nei suoi pensieri. Marcandone indelebilmente di azzurro il cuore. Lui che è cresciuto calcisticamente nel Torino. Quindi, dovrebbe essere rigorosamente un “cuore Toro”. Un’allegoria densa di profondi significati, che racchiude in sé il lato sportivo, ma anche quello storico e caratteriale dei granata. “Torino e Napoli sono state le tappe fondamentali della mia vita. Al Toro devo tantissimo. Ho lasciato Massa e la Toscana per entrare nel settore giovanile granata all’età di 14 anni. E gli anni delle giovanili, fino all’esordio in serie A, hanno contribuito a formarmi. Non solo calcisticamente. Napoli, invece, vive di calcio. Il calore e la passione della gente ti fanno sentire sempre importante. Ancora oggi, vengo spessissimo in città. E sembra che stia ancora giocando, vestendo la maglia del Napoli, tanto è l’affetto che mi dimostrano i tifosi quando mi incontrano per strada. Chi parla male di questa città, dovrebbe conoscerla, prima di giudicarla in maniera frettolosa…”.
L’amarezza di un bellissimo secondo posto
Il fatto che il Napoli abbia conteso lo Scudetto alla Juventus fino a due giornate dal termine del campionato, lascia un po’ di amaro in bocca ai tifosi, alla luce del record di punti conquistati: 88. Ovvero, uno in più rispetto alla scorsa stagione. E con ancora una gara da disputare, per la squadra di Sarri, raggiungere quota 91 non appare utopistico. L’estetica trascendentale che ha permesso al Napoli di arrivare “soltanto” secondo impone, però, una seria riflessione, cui Francini non si sottrae. “Onestamente, credo che più di quanto fatto, il Napoli davvero non potesse fare. La stagione, nel suo complesso, deve sicuramente essere valutata in maniera positiva. Per il gioco espresso dalla squadra, che ha entusiasmato un po’ tutti. E per aver battuto il record di punti conquistati lo scorso anno, superando addirittura sé stessa”. Nonostante il titolo di Campioni d’Italia sia sfumato proprio sul filo di lana, la “Grande Bellezza” proposta dal Napoli ha pagato comunque i suoi dividendi. In termini di spettacolo e gradimento. Per i tifosi partenopei. Ma anche per addetti ai lavori o semplici appassionati. “Bisogna riconoscere al Napoli di non aver mai mollato ed aver tenuto testa alla Juventus fino alla fine. Senza dimenticare che gli infortuni di Ghoulam e Milik hanno privato la squadra di due pedine importanti, limitando la possibilità di ruotare gli uomini. Anche la scelta di puntare esclusivamente sul campionato, operando il turnover in Europa League, è dovuta proprio ad una rosa ristretta. Non a caso, a Lipsia, con i titolari in campo, il Napoli era quasi riuscito a ribaltare la sconfitta dell’andata, al San Paolo”. Appare evidente quanto gli azzurri siano stati in grado di creare un senso di appartenenza trasversale. Suscitando simpatia diffusa in tutti quelli – come il “Francio” – che hanno creduto, almeno fino alla infausta trasferta di Firenze, nella possibilità di vincere il tricolore. “Concordo con le dichiarazione di Sarri, quando diceva che lo Scudetto s’è perso in albergo, a Firenze. E’ difficile immaginare cosa possano avere provato i calciatori del Napoli. Il loro stato d’animo, dopo aver visto in tv Inter-Juventus. Anche se inconsciamente, certamente avrà influenzato il morale della squadra. Da questo punto di vista, con la Juventus ormai eliminata dalla Champions, sarebbe stato il caso che le ultime giornate di campionato si giocassero in contemporanea…”.
Cambiare o non cambiare: a ADL l’ardua sentenza
Dopo tre anni di successi riconosciuti dalla critica, un po’ meno sul versante dei “tituli”, il matrimonio tra Maurizio Sarri e Aurelio De Laurentiis pare posso essere messo in discussione. Al netto di un contratto sottoscritto dalle parti e tralasciando la famigerata clausola risolutiva a favore del tecnico, da far valere entro e non oltre la fine di maggio. La sensazione è che l’allenatore toscano voglia continuare ad essere protagonista con la “sua” creatura. Piuttosto che sentirsi dignitosamente un mero partecipante al tavolo delle pretendenti allo Scudetto. Francini ha una sua teoria. E non ha timore a palesarla pubblicamente. “In questo momento, considero Maurizio Sarri, in assoluto, uno dei migliori tecnici in circolazione. Mi auguro che resti sulla panchina del Napoli, perché in questi tre anni ha fatto un lavoro straordinario. Ha dato un gioco ed una identità precisa alla squadra. Sarebbe un peccato perdere questo patrimonio. E’ vero, non ha vinto niente. In ogni caso, sarà ricordato per aver giocato il miglior calcio in serie A!!!”. Il punto di svolta a favore della permanenza di Sarri alla guida del Napoli ha un prerequisito che si chiama programmazione. “Sicuramente, per rimanere sulla panchina del Napoli, Sarri non farà delle considerazioni legate a fattori economici. Penso, invece, che ne faccia più una questione di programmi. Magari vorrebbe che non ci fossero cessioni. Oltre a immaginare innesti importanti. Non è facile migliorare questa squadra. Perché il livello raggiunto dal Napoli, già adesso, è altissimo. Per alzarlo ulteriormente, bisognerebbe scegliere giocatori pronti, con una certa esperienza e personalità. Piuttosto che orientarsi su giovani calciatori di prospettiva…”. In quest’ottica, il mancato accordo per il rinnovo con Pepe Reina, potrebbe essere significativo. E testimoniare una strategia societaria diversa rispetto alle ambizioni di chi, nell’arco di tre anni meravigliosi, ha costruito un meccanismo ben oliato in tutti i suoi sincronismi. “Dispiace che Reina sia andato via. Il Napoli perde un giocatore importante, capace di dare sicurezza al reparto arretrato. Tante volte, infatti, con la squadra in difficoltà, i compagni giocavano la palla al portiere spagnolo, abile ad impostare la manovra con i piedi ed avviarla dal basso. Come vuole l’allenatore”. A proposito di arrivi e partenze. Diversamente dai sui tempi, in cui era considerato dalla stragrande maggioranza dei calciatori un punto di arrivo, pare che attualmente il Napoli, pur insidiando da vicino lo strapotere della Juventus, abbia ricevuto tanti, forse troppi, dinieghi. Sull’argomento, Francini è didascalico. “Per quanto riguarda Politano, non darei colpe al giocatore. Visto che non c’è stato un suo rifiuto. Ad opporsi al trasferimento pare sia stato il Sassuolo. Verdi avrebbe fatto comodo, potendo giocare in tutti e tre i ruoli dell’attacco. Poteva far rifiatare i titolari. Per questo motivo, credo che avrebbe giocato spesso. Magari ha avuto timore di confrontarsi. Oppure aveva già offerte da altre squadre. In ogni caso, non lo prenderei più!!!”.
Il vizio del gol
93 presenze ed 8 reti con la maglia del Torino. 184 presenze e 10 reti, con quella del Napoli, in sette stagioni meravigliose, condite da uno Scudetto, da una Coppa Uefa e da una Supercoppa Italiana. Nell’arco della sua lunga carriera, Francini ha spesso fatto piangere i portieri avversari. Lui, invece, che per ruolo e posizione in campo era deputato a difendere l’inviolabilità della sua rete. “In carriera ho segnato qualche gol. Mi ricordo di avere sempre avuto una sorta di sesto senso sotto porta avversaria, sin dai tempi delle giovanili granata. Mi piaceva partire da dietro ed inserirmi al tempo giusto. Poi a Napoli, con Diego (senza necessità di specificare il cognome, n.d.a.), che te le metteva con il contagocce…”. Indimenticabili alcuni dei suoi gol con la maglia del Napoli. Il 30 settembre 1987, nella gara di ritorno del primo turno di quella che era veramente la Coppa dei Campioni, visto che erano iscritte soltanto le squadre vincitrici dei rispettivi campionati, il Napoli, fresco del primo Scudetto, faceva il suo esordio nella massima competizione europea, affrontando la più blasonata squadra del Vecchio Continente: il Real Madrid. Dopo una decina di minuti, Francini battè Buyo e mise paura alle merengues, in balia di quella squadra fantastica per 44’ minuti. Prima che Butragueno, pareggiando, ristabilisse le gerarchie. Memorabile pure il colpo di testa in Roma-Napoli. Da tutti considerato, storicamente, il momento in cui il “Derby del Sole” ha smesso di essere una gioiosa manifestazione di gemellaggio tra due tifoserie fino ad allora più che amiche. Era il 25 ottobre 1987, gli azzurri non solo erano in svantaggio. Addirittura in doppia inferiorità numerica, a causa delle espulsioni di Careca, che reagisce alla provocazione del “solito” Collovati (al 55’) e Renica (al 64’), che già ammonito, stende Boniek lanciato verso la porta.
il Torino e la Nazionale
La chiacchierata con Francini non può concludersi senza un passaggio sulle altre due maglie che hanno caratterizzato il suo percorso professionale. Innanzitutto, il Torino. “Mazzarri conosce il calcio italiano e sa bene cosa pretendere dalle sue squadre, che hanno sempre una precisa identità di gioco. Quest’anno è subentrato in corsa, con la squadra fatta da altri. Ma il prossimo anno credo che possa far bene, con un Torino costruito sulla base delle sue scelte”. Il finale è per l’Italia. Vice-Campione Europeo nel 1986 con l’Under 21 di Vicini, nella sfortunatissima doppia finale con la Spagna, persa soltanto ai calci di rigore, Francini ha avuto la “sfortuna” di trovarsi tra Antonio Cabrini e Paolo Maldini. Per questo motivo, i gettoni di presenza con gli Azzurri sono stati solo 8. Emblematica la circostanza nella quale disputò la sua ultima partita in Nazionale: era il 31 marzo 1988, Jugoslavia-Italia (1-1). Al 53’ fece posto proprio all’esordiente Maldini, in quello che potremmo definire un vero e proprio passaggio di consegne. “Sono contento della mia carriera in Nazionale. Pur riconoscendo che ho avuto un pochino di sfortuna in Azzurro. Con Vicini avevo fatto benissimo nel biennio dell’Under 21. Quando è stato promosso Commissario Tecnico, ha portato con sé molti di quel gruppo. Purtroppo è capitato, specialmente all’inizio della sua gestione, che alla vigilia delle convocazioni, fossi spesso infortunato, dovendo così rinunciare alla chiamata. Il rammarico è che una volta che la squadra acquisisce degli ingranaggi collaudati, poi è più difficile entrare nelle rotazioni”.
Francesco Infranca