di Francesco Infranca
Ciro Muro è stato uno dei calciatori di maggior talento cresciuti nel Napoli. Una tecnica di base sopraffina. Ma anche una etichetta scomoda. Attribuita con troppa superficialità da qualcuno, ansioso di identificarne la predisposizione cristallina alla giocata da applausi. E rimasta appiccicata alla carriera di un giocatore meraviglioso, la cui storia risiede tutta in quel continuo oscillare tra abilità calcistiche e (finta) anarchia tattica. “Ho sempre avuto i piedi buoni. Agli inizi della mia carriera, magari, esageravo un pò nel dribbling. Specialmente se gli avversari mi mettevano un uomo addosso. Con il passare degli anni, ho arretrato il raggio di azione, fino a giocare in pianta stabile davanti alla difesa. Spesso dico ai miei allievi, che per essere un buon giocatore, si dovrebbe vivere prima la vecchiaia calcistica e dopo la gioventù…”. Facevamo riferimento a quella scomoda etichetta: il vice di Diego Armando Maradona nell’anno dello Scudetto. “In verità, in quel Napoli, non ho giocato solo al posto di Maradona. Alcune volte, mi sono adattato a destra. Altre, ho dato una mano in posizione più accentrata. L’idea era quella di poter essere utile sia come alternativa di Ciccio Romano, che quando bisognava togliere Bruno Giordano oppure Andrea Carnevale”. Quello di Muro è un racconto a tappe, sul suo modo di stare in mezzo al campo. Ma anche sull’atteggiamento tenuto fuori dal terreno di gioco. Un racconto ricco di aneddoti. Nel quale si percepisce la profonda umanità e l’amore per il calcio, palesato in tutte le parole da questo scugnizzo moderno.
Il Napoli, esordio e vittorie
Il debutto in serie A è impossibile dimenticarlo. Quella data diventa una sorta di mantra, per chi riesce a coronare un sogno inseguito da tanti. Una litania da tenere a mente e ripetere ogni qual volta se ne presenti la necessità. Per Ciro Muro, l’11 marzo 1984 è il momento in cui tutto ebbe inizio. “Il Napoli doveva giocare al San Paolo, contro la Roma. Stavo andando a Catanzaro, con la Primavera. Mi richiamarono poco prima che partissi. C’era la necessità di portarmi in panchina. A metà del secondo tempo, Rino Marchesi mi buttò nella mischia. Devo essere sincero, in quel momento, la paura non mi ha sfiorato. Come dico sempre ai miei giocatori, adesso che alleno: la paura deve essere incanalata e gestita. Nonostante la sconfitta per 2 a 1, ricordo con piacere i complimenti a fine gara di Ciccio Graziani”. Gioie e dolori hanno sempre accompagnato Muro. Due facce della stessa medaglia, che non ne scalfiscono però i ricordi. “Quello è stato pure l’anno in cui perdemmo la finale del torneo di Viareggio, contro il Torino. L’arbitro era Gino Menicucci e ne combinò davvero di tutti i colori, annullandoci due gol validissimi. Ricordo ancora le proteste del presidente Ferlaino!!!”. Messo piede nel calcio “dei grandi”, per Muro emerge prepotente la necessità di acquisire esperienze formative. Ecco, quindi, i prestiti al Monopoli ed al Pisa (esperienza sulla quale torneremo poi). Prima del ritorno alla casa madre. Un vero e proprio appuntamento con la Storia. La stagione 1986/87 è quella del doblete. E Muro diventa uno dei protagonisti dell’accoppiata Scudetto e Coppa Italia. In campionato, si ritaglia uno spazio come alternativa al Re. L’etichetta di “vice-Maradona” l’accompagnerà nello sviluppo immediatamente successivo della sua carriera. Undici presenze complessive, condite dalla rete all’Ascoli, sono il suo bilancio, in quella cavalcata memorabile. Ben più sostanzioso il contributo apportato in Coppa Italia, dove disputa tutte le tredici gare. Segnando anche quattro gol. Speciale, per un mucchio di motivi, quello segnato all’Atalanta, nella finale di andata, a Fuorigrotta. “A inizio stagione avevo messo in calendario il battesimo di mio figlio a giugno. All’epoca, le date delle due finali non erano state ancora stabilite. Quando si avvicinò la partita con l’Atalanta, feci presente a Ottavio Bianchi la necessità di avere una giornata di libertà. Il mister mi consentì di allontanarmi dal ritiro, per festeggiare mio figlio. Chiaramente, non pensavo che poi mi avrebbe fatto giocare. Onestamente, credevo che mi mandasse in tribuna. Invece subentrai dopo un’ora di gioco e feci anche gol!!!”.
Anconetani e Fascetti, personaggi di un calcio che non esiste più
Nell’arco della sua carriera, prima e dopo il Napoli, Ciro Muro ha incrociato la sua strada con due tra i più carismatici personaggi che abbiano mai caratterizzato i mitici anni ottanta del calcio italiano: Romeo Anconetani ed Eugenio Fascetti. Cosa si aspettassero esattamente a Pisa da un giocatore di poco più di vent’anni, ceduto praticamente in prestito secco dal Napoli soltanto per giocare con continuità il suo primo campionato di serie A, non è dato saperlo. Quello che invece trovò Muro fu la possibilità di giocare in pianta stabile nell’undici titolare, garantendo alla causa nerazzurra 29 presenze e 4 reti. Ma una, indimenticabile. “Segnai il gol del pareggio nel derby con la Fiorentina, su punizione. Il giorno dopo, di prima mattina, bussano alla porta. Era il segretario di Anconetani, che mi consegna i documenti e le chiavi di una peugeot 205. Un regalo del presidente. Era un generoso. Amava i suoi giocatori e aveva l’abitudine di portarci in giro a fare acquisti. Chiaramente, tutto a spese sue”. Assieme a Fascetti, invece, Muro vince un campionato di serie B con la Lazio. Una stima per il tecnico toscano, che va ben oltre il risultato ottenuto sul campo. “Inizialmente pensava che non avessi tanta voglia di lavorare. Era fatto così, se la prendeva sempre con i giocatori tecnicamente più dotati. Chiedeva sempre qualcosa in più. Ma con il suo staff, in particolare, con il prof. Sassi, ho compreso davvero la cultura del lavoro. Roma è una piazza difficile. Ma il carattere e la determinazione non mi sono mai mancati…”. Quello che è stato il prosieguo della vita calcistica di Muro è rappresentato dal paradosso che lo ha visto trasformarsi in un top-player per la cadetteria. Un simbolo per piazze tradizionalmente ambiziose. Finite ai margini della serie B. Ma comunque, fortemente motivate a riconquistare un posto al sole. Piazze calde. Squadre meridionali. Nobili decadute o dimenticate dall’aristocrazia calcistica. E’ in questi contesti, che Muro si cala anima e corpo. Senza tralasciare il suo enorme bagaglio tecnico-tattico. Cosenza, Messina, Taranto, sono soltanto alcuni dei tanti pezzi che compongono il puzzle di una carriera ventennale. “Andai a Cosenza perché Gigi Simoni mi fece una corte spietata. Avevamo una squadra costruita per cercare la promozione in A. In difesa, l’ex Napoli, Ugo Napolitano. Davanti, Michele Padovano e Gigi Marulla. La tragica morte di Bergamini destabilizzò l’ambiente e lo stesso spogliatoio. Morale della favola: eravamo partiti per vincere il campionato e ci salvammo solo all’ultima giornata. A Messina mi volle fortemente Giuseppe Materazzi, con cui avevo condiviso una parte della mia esperienza laziale. Un girone di andata esaltante. Come dimenticare la vittoria in casa del Foggia di Zeman per 5 a 4. Se consideriamo che, alla fine del primo tempo, eravamo sotto 4 a 0. Peccato che nel girone di ritorno non riuscimmo a mantenere le aspettative”.
La carriera da allenatore
Appesi gli scarpini al classico chiodo, l’evoluzione della carriera di Ciro Muro non poteva che essere in panchina. Del resto, già al tramonto del suo percorso da calciatore, l’idea l’aveva sfiorato. “In effetti, prima di ritirarmi definitivamente dall’attività agonistica avevo avuto modo di assaporare il gusto della panchina, ricoprendo il ruolo di giocatore-allenatore. Alla Casertana e alla Viribus Unitis. In verità, pur facendo bene, ha prevalso la voglia di giocare. Che all’epoca era ancora tanta. Con il senno di poi, devo riconoscere che magari avrei potuto sfruttare meglio l’opportunità e calarmi sin da subito nel ruolo di tecnico”. Una opportunità che gli ha garantito il Napoli, una volta scelta definitivamente la strada da percorrere in panchina. Tante le soddisfazioni. Condite da una delusione cocentissima. “Sono stato al settore giovanile del Napoli per quattro anni: Berretti, Giovanissimi Nazionali e due stagioni agli Allievi Nazionali. Mi gratifica il fatto che molti ragazzi con cui ho lavorato abbiano raggiunto la formazione Primavera. Momenti esaltanti ne ricordo tanti. Lo Scudetto Giovanissimi soltanto sfiorato, sconfitti in finale dall’Inter e le final-eight raggiunte con gli Allievi”. Le incomprensioni con Riccardo Bigon hanno sancito l’abbandono di Muro e l’interruzione di un rapporto fin lì fruttifero con il vivaio azzurro. “Volevo la squadra Primavera. Mi sentivo pronto e motivato per l’incarico. Ma le idee di Bigon erano diverse. Mi stimava. Infatti, mi prospettò l’opportunità di allenare in Lega Pro. Ma pensava che un napoletano alla guida della Primavera potesse farsi influenzare da fattori esterni o subire pressioni. Personalmente, invece, non credo alle raccomandazioni. Nel calcio non ci sono e non ci devono essere. Conta solo il merito”. Veniamo all’esperienza con la Mariano Keller. La scalata affascinante di un presidente ambizioso (Salvatore Righi, n.d.a.), che ha dimostrato quanto siano importanti le idee, oltre che gli investimenti. Prima ha creato dal nulla una società di puro settore giovanile. Capace in pochissimo tempo di affermarsi a livello nazionale. Dopo, ha provato a diventare protagonista anche nel calcio dei grandi. Dalla testimonianza di Muro, è impossibile non rendersi conto del senso di profonda incompletezza maturata in quelle annate. “Sicuramente ho un rimpianto, per quello che è successo. Il progetto di formare giovani calciatori e portarli ad esordire in prima squadra stava dando i suoi frutti. Con la Keller abbiamo conseguito ragguardevoli successi in Campania e perso solo in Finale lo Scudetto della categoria Allievi, riservata alle società dilettantistiche. Poi abbiamo affrontato la serie D con lo stesso entusiasmo, che ci ha portato alla fine del girone di andata in piena zona play-off. Con una rosa giovanissima e piena di ragazzi cresciuti nel nostro vivaio”. Le vicissitudini extra-calcistiche della proprietà hanno interrotto sul più bello una favola calcistica moderna, stile Chievo.
Un pronostico sulla corsa al titolo
Prima di salutare Ciro Muro, è quasi un atto dovuto chiedergli un pronostico nella corsa allo Scudetto. Come se le parole di uno dei protagonisti di quella esaltante favola tinta di azzurro potessero rafforzare la rincorsa di questo Napoli alla conquista di un sogno. “Mancano ancora tante partite alla fine del campionato. La sosta per le Nazionali potrebbe far bene, per recuperare un po’ di energie. Il Napoli finora è andato a mille e credo che se la giocherà fino alla fine. Sperando che non ci siano altri infortuni. Proprio il recupero di Milik potrebbe essere l’arma in più in questo finale. Magari ripetere quello che faceva Andrea Carnevale, che entrava dalla panchina e risolveva le partite. Ho un sogno: vincere lo scontro diretto a Torino con la Juventus. Come facemmo noi l’anno dello scudetto!!!”. E così sia. Sperando vivamente che sia passato un angelo e ascoltando le parole di Muro, abbia sussurrato “Amen…”.