Ritratto di Gianni Improta

Il Baronetto di Posillipo

TROPPO SIGNORE

Chi incontra oggi Gianni Improta, che conosco benissimo da anni, faticherebbe a pensare che questo distinto signore sia stato un calciatore professionista e fra un paio d’anni sia un settantenne.

La sua bellezza è intatta, il fisico perfetto, i tratti nobiliari, i modi raffinati. Si esprime in maniera elegante, sembra un politico consumato.

Essendo un Signore, con la “S” maiuscola, non ha avuto fortuna nel calcio come allenatore e dirigente, mondo popolato da banditi veri. Ma ha avuto il tempo di diventare un mito nella “sua” Catanzaro, dove ha passato i migliori anni da atleta e da dirigente.

Strano destino il suo: lo hanno sempre chiamato dove sono finiti o scomparsi i soldi. Così a Pozzuoli, quando salvò la Puteolana dal baratro, portando a pranzo i ragazzi che allenava in serie C a spese sue, così a Castellammare, dove fu chiamato in panchina e lui salvò la società. Per non dire a Torre Annunziata, dove mise in piedi un progetto vincente chiamando alla guida della squadra il suo amico e valente tecnico Gianni Simonelli, solo che il presidente era un tale Antonino Pane, che di mestiere faceva il… Millantatore!

E così pure a Catanzaro, richiamato al capezzale della nobile damigella del Sud caduta in disgrazia, dove per qualche anno si è barcamenato nel tenere a galla una navicella che faceva acqua da tutte le parti.

Più fortunato ed apprezzato come commentatore TV, sempre attento ed arguto, buon affabulatore, precise le sue analisi, per tanti anni mio opinionista di riferimento e con cui ho condiviso tante stagioni a Campania Sport. Ancora lo reclamano a gran voce! E’ una delle voci più autorevoli ed ascoltate del panorama televisivo partenopeo.

I QUARTI DI NOBILTA’

In verità, la sua fama la deve al suo passato di calciatore. Così come il suo soprannome: il “Baronetto di Posillipo”. Non tutti sanno che i quarti di nobiltà a questo ragazzo nato e cresciuto, e tuttora vivente, sulle colline di Posillipo, un vero Paradiso Terrestre, uno dei posti più belli al mondo, dove da tanto tempo insieme al figlio gestisce un centro polifunzionale sportivo-ricreativo, il Virgilio, glieli ha attribuiti una penna delle maggiori del panorama giornalistico italiano oltreché napoletano, all’epoca direttore del Corriere dello Sport, nientemeno che Antonio Ghirelli, che nel vederlo all’opera in un Napoli-Fiorentina 3-0 con 3 gol dell’estroso trequartista azzurro, lo appellò, per le movenze eleganti ed in riferimento alle sue origini, il Baronetto di Posillipo appunto. E tale è rimasto per tutti nell’immaginario collettivo.

Come non molti sanno che la sua fortuna di calciatore in buona parte Giannino la deve al compianto patron di Napoli Canale 21, il dott. Andrea Torino, che all’epoca era responsabile del settore giovanile azzurro, il quale riuscì ad evitarne la cessione. Il giovane trequartista, che aveva le stimmate della classe pura, il dribbling ubriacante, il tocco delizioso, la freddezza del gran rigorista (ne ha tirati tanti e sbagliati pochissimi), si fece così un anno le ossa alla corte della Spal del Commendator Mazza, gran scopritore di talenti, per poi tornare alla base.

All’epoca non c’erano le rose allargate e le tante sostituzioni. In panchina andava uno solo oltre il portiere di riserva, il tredicesimo, quando i giocatori portavano le maglie dall’uno all’undici. E lui si affermò come il tredicesimo, facendo la staffetta con l’uccellino, il grande e vetusto Kurt Hamrin, lo svedese grande ala destra venuto a spendere gli ultimi spiccioli della sua classe all’ombra del Vesuvio, con cui faceva staffetta e da cui imparò tanto, essendo lo svedese un fuoriclasse assoluto da Olimpo della Storia del Calcio.

Pian piano il Baronetto, che suscitò l’attenzione anche delle rappresentative giovanili nazionali, si ritagliò il suo spazio da titolare, fino a diventare giocatore da giro della Nazionale.

ALL’OMBRA DELLA LANTERNA

Quando ormai Giannino era un gioiello luminoso, al punto da suscitare un po’ la gelosia del gran capitano Juliano, napoletano di San Giovanni a Teduccio che non voleva ombre attorno a sé, nel momento in cui aveva deciso di metter su famiglia a Napoli, rassicurato dal furbo e bugiardo Ingegner Ferlaino, fu ceduto per una cifra ragguardevole dell’epoca alla Sampdoria, mi pare 470 milioni di lire, dove però il bizzoso padre di Bobo Vieri – suo pari ruolo – gli fece la guerra e lo isolò, lui che aveva le chiavi dello spogliatoio blucerchiato.

L’ESPERIENZA IRPINA

Ma Improta, la cui carriera sembrava bruciata dopo il fallimento di Genova, seppe ripartire subito, grazie alla chiamata in serie B di quello straordinario talent scout che fu il Commendator Sibilia, Patron dell’Avellino.

Nell’annata avellinese il Baronetto, con umiltà ed abnegazione, giocò da par suo tutto il campionato da titolare firmando anche qualche gol.

IL REUCCIO DI CATANZARO

Le sue prestazioni attirarono l’attenzione del Catanzaro che ne fece una sua bandiera e di cui fu pure capitano per vari anni, ben quattro, di cui 3 nella Massima Serie in cui seppe risalire lui e la sua squadra.

RITORNO IN AZZURRO

Ma la soddisfazione più grande il Baronetto la ebbe quando il Napoli lo richiamò per far da chioccia ai giovani che aveva deciso di lanciare, e per un intero anno fu ancora titolare nella squadra della sua città.

Se un rammarico è rimasto al Baronetto, è la cessione nell’anno dell’arrivo di Vinicio: lui resta convinto tuttora che con la sua esperienza ed il suo contributo magari avrebbe potuto aiutare a dare quel quid in più alla squadra che mancò per lo scudetto. E come dargli torto! La penso come lui.

GIANNI E LA NAZIONALE

Un altro rammarico di Gianni è quello di non essere mai stato chiamato in Nazionale. Strano destino quello dei figli del Vesuvio. Lui come Bruscolotti e Pino Taglialatela, ad un passo dalla convocazione. A tal proposito, un giorno Gianni mi ha raccontato che aveva incontrato per caso Valcareggi, il CT dell’epoca della Nazionale, il quale gli aveva confidato che lo aveva praticamente convocato in Nazionale al posto del fiorentino Merlo, proprio quello a cui – nel gioco delle marcature a uomo dell’epoca – aveva fatto i tre gol in faccia tanto da meritarsi l’appellativo di Baronetto! Ma che qualcuno – che in teoria avrebbe dovuto essere suo amico – lo aveva tradito sconsigliandone la convocazione. Invidie tra colleghi… Peccato.

ULTIME TAPPE: LECCE E FRATTA

La sua carriera di professionista si concluse in B dove per due anni fu punto di forza del Lecce.

Due anni in C2 tra i nerostellati di Fratta sono stati l’epilogo da calciatore ed il punto di congiunzione con la carriera di allenatore, dove per me non gli mancava niente per emergere, essendo uno dei più competenti che conosca. Ma il difetto che ha è troppo grande: è un Signore senza sponsor. Ed a fronte di un Sarri che emerge dopo tanti anni di gavetta, ci sono tanti Gianni Improta che meriterebbero e non ce la fanno.

IMPROTA DIRIGENTE

L’incarico più bello comunque Gianni Improta l’ha svolto da Presidente del Settore Giovanile scolastico del Comitato Regionale Campano, dove ha messo competenza e passione al servizio di bambini e ragazzi, di cui rimane luminoso esempio.

Io a Gianni sono molto legato, perché è stato uno dei miei idoli d’infanzia – piansi alla sua cessione come tutta Posillipo che scese in piazza e tutta Napoli – perché ne ho apprezzato l’uomo e la classe.

E’ proprio vero, Gianni: “la classe non è acqua”.

 

Napoli, 30 maggio 2016

Umberto Chiariello

Tratto da: Felice D’Aliasi, Lupi per sempre, Avellino 2016.

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