Quel fantastico giovedì in ospedale

Appunti ospedalieri sulla magica serata di Wolfsburg

L’ALBA

Sono le 5 e mezzo del mattino di oggi, e sono in ospedale seduto davanti al balcone chiuso della mia camera a guardare spuntare l’alba in questa magnifica valle in cui mi sono rifugiato.

Dentro di me sento Pinuccio Daniele che canta Je so’ pazzo, e penso che lui non morirà mai in me finché campo, come il mio papà, quel piccolo grande uomo, che è qui a farmi compagnia (quanto mi manca, maledizione!).

IL 16 APRILE

Sì, io sono pazzo, è sicuro. Quello che ho fatto la settimana scorsa lo dice, inequivocabilmente.

Sono malato terminale, ma di solo Napoli. Per fortuna la salute invece va in forte ripresa. Ma la malattia pallonara che è in me non si può estirpare.

Avevo deciso di operarmi, convinto da amici medici, ora o mai più per superare una serie di problemi che ormai erano improcrastinabili da affrontare e non in maniera blanda.

Avevo cominciato un iter, ero venuto a vedere questo ospedale che è un’eccellenza di periferia nel quadro della malasanità italiana, con un primario salernitano dotato di incredibile umanità e umiltà, una star della chirurgia giovane e ieratico, uno staff simpatico con delle infermiere mamme amorevoli. Come stare in famiglia, mi avevano detto. Tutto vero.

Insomma, era arrivato il giorno fatidico, fissato per tempo: il 16 aprile. Ero venuto solo, in auto, determinato a superare il problema, sereno, con la mia solita grinta, quella che spero Giorgino erediti come io da papà mio, marchio di fabbrica.

Una sola nube offuscava la mia mente: questa cazzarola di Europa League. Avevo calcolato che mi perdevo solo la trasmissione post-operatoria (sono il conduttore) della domenica di Cagliari, non certo la partita sul mio fedele ipad, ma tre mesi prima – quando avevo concordato la data col chirurgo – non immaginavo che mi sarei andato ad impelagare nel giovedì di Wolfsburg.

E su ipad Canale 5 non lo potevo vedere. Ci voleva un televisore in stanza.

ALLA RICERCA DI UNA TV

Voi direte: ma come, ti devi operare, e pensi al Napoli? E se vi dico che so’ pazzo, allora che lo dico a fare?

Però ho deciso: io la partita la devo vedere, non c’è operazione che tenga. Se lo dico a mia moglie, quella diventa più matta di me. Invece che farmi operare, mi fa interdire.

Devo aggirare l’ostacolo. In zona c’è il mio amico Marco che ha già detto che mi verrà a trovare. Sarà lui a salvarmi. Mi porterà la TV e si vedrà la partita con me, è anche lui tifosissimo del Napoli. Lo chiamo, siamo d’accordo. Così sarà.

Devo però affrontare la logistica. Appena arrivo a reparto mi accolgono bene, ci sono due medici di Sorrento nello staff e lo stesso primario che un po’ miei fans sono.

Godo di piccoli privilegi, possibili sia chiaro. Qui letti ce ne sono, non ci sono barelle in corsia. Le camere sono linde e pinte. Sembra una bella pensione di provincia a due stelle, quelle buone di una volta.

Mi assegnano una camera a due letti, c’è dentro un tarantino simpaticissimo che sta per essere dimesso.

Domani, giovedì, la stanza sarà tutta mia, potrò ospitare mia moglie che vuole assolutamente assistermi.

Perfetto, ho la stanza tutta per me. Il primo passo del mio piano è compiuto. Mi accerto subito che l’antenna TV ci sia. Perfetto. Secondo passo fatto. Step by step.

Convinco il primario a farmi operare per primo, alle 8 del mattino. Ok, un altro passettino è fatto.

Avviso mia moglie che purtroppo l’indomani sarò il primo, e quindi che si precipiti stasera stessa, non è colpa mia ma del chirurgo maledetto (in realtà sono io il deus ex machina).

Lei arriverà col nonno, il suo papà, che per me è il nonno tout court, quel che sarà Giorgio da grande, bello alto e forte come lui, di cui è la copia conforme. 80 anni di bellezza, certo che la figlia non ha fatto un bello accatto passando dal papà a me. Sarà che io ho altre qualità (nella testa, malpensanti!).

La manderò in albergo per questa sera, pur di farmi operare per primo. Perché? Semplice, ho calcolato tutto.

La partita per vederla devo essere lucido, i fumi anestesiologici che mi annebbieranno il cervello dovranno passare e ci vorranno ore, se torno in stanza per le 11 ho il tempo di smaltirli fino alle 21.

TI ODIO CHIRURGO

Scatta però l’allarme. Passa in stanza a trovarmi il chirurgo per sapere come va, io sono gasato e deciso, dico: “Bene, l’importante è che mi si riporti in camera e mi si dia la possibilità di vedere la PARTITA”.

Lui mi guarda perplesso (avrà pensato: “Non lo facevo così scemo!”), mi chiede che partita c’è.

Non me lo mangio vivo per carità di patria ed innata educazione, inconcepibile che non sappia che il Napoli vada a scrivere la Storia in Germania.

Gli spiego che mi serve per il mio lavoro (mento spudoratamente), e che in realtà non avrei dovuto essere lì di 16 aprile ma in video. Basta riportarmi in stanza e mi sarei organizzato io.

Lui serafico mi guarda e fa, con i suoi boccoli d’oro da quarantenne belloccio ed in carriera ed i suoi modi da Principe della chirurgia: “Dipende”.

Dipende? Dipende da che? Ma di che parliamo? E aggiunge: “Non so se la mandiamo una giornata in terapia intensiva o meno. Dipende…” Ancora!

“Ma il mio compagno di stanza per una notte dice che è tornato subito qui”, brontolo supplicante. “Sì, ma non tutti reagiscono allo stesso modo dopo l’operazione, dipende da come ci si sveglia”, tronca secco lui di risposta e va via.

“Non si preoccupi, io mi sveglio bene di sicuro, devo vedere la partita. Non faccia scherzi, mi raccomando…” Gli urlo dietro, con le mani a coppetiello.

Dormo bene ma incazzato, i miei piani sono a rischio.

Come entro in sala operatoria vedo il mio amico Francesco il cardiologo, quello che mi ha portato qui, e gli sussurro, da tifoso a tifoso (è napoletano malato del Napoli come me): “A Francè, non facciamo scherzi. Fammi riportare in stanza. Devo vedere il Napoli”.

Lui non mi prende per pazzo. La pensa come me.

È l’ultimo pensiero prima di addormentarmi tra le braccia di un anestesista iraniano.

No, l’ultimo flash è per Giorgio vestito da portiere. Se muoio non posso pensare che a questa immagine.

IL RISVEGLIO

Ma dopo un paio di ore mi arriva uno schiaffo in faccia e l’iraniano mi fa: “Svegliati!” Io mi giro di scatto, focalizzo, vedo Francesco in camice color Toro, il granata mi è sempre piaciuto da morire (“Fanculo Juve!”), che si sbraccia tranquillizzandomi: “Tutto a posto, tutto a posto!”

Io faccio un cenno di assenso con la testa ma la domanda mi viene subito alla mente: dove mi portano? Non devo chiederlo, capisco subito che sto per tornare in stanza.

Alè, è fatta! Fatta un piffero. Entro in stanza, il nonno mi intravede, mia moglie amorevole mi saluta e mi stringe la mano, io… vedo la morte con gli occhi!

Voglio scappare, scappare! Sono prigioniero: realizzo che ho un sondino nel naso che non mi fa respirare ed una busta collegata con un tubo, che ho il catetere che mi brucia il pisello ed una busta per l’urina, ho un’altra busta che sputa sangue per il drenaggio, altro tubo, altro giro, la flebo attaccata, e pure gli occhialetti con l’ossigeno nel naso.

Non sono un uomo, sono una busta vivente! Ed i fili mi imprigionano. Sento il panico assalirmi, voglio fuggire, fuggire… Strappo tutto e scappo.

CI SEI PAPA’

Poi parla mio padre e dice: “Umberto, ricorda… la forza della mente, che sono morto a fare, se non ti ho lasciato nemmeno questo. Tu sei forte lì dentro, dimostralo”.

Ed allora gli rispondo: “Sì, papà, non ti deluderò, ora prendo il controllo della situazione”.

Respiro profondo, chiudo gli occhi, gli attaccanti sono davanti a me, io sono in posizione per parare, come tante volte, e mi sento forte, imbattibile.

Mi hanno trovato su Facebook il mio allenatore di tanti anni fa, Goffredo, ed il mio grande terzinaccio Alfredo, una forza della natura, ed hanno scritto: il nostro portierone!

Per loro lo sarò sempre, nella memoria, la nostra memoria. Ed io io mi sento forte, ora come allora.

Ed allora fanculo tubi, buste, ora devo pensare al Wolfsburg. Devo vedere la partita!

MALEDETTA ANTENNA

Ma mi accorgo che ho fatto un errore capitale, che rischia di compromettere il piano: ho dimenticato di dare a mia moglie il numero di Marco per confermargli l’appuntamento in stanza.

Maledizione, il mio cellulare è chiuso nella borsa, e non intendo attivarlo, mi arriverebbe il mondo addosso.

Già mia moglie, grande organizzatrice capace di far scendere un cameraman da un aereo con la forza della parole (l’ha fatto per davvero) va su e giù per la stanza parlando a telefono di continuo con amici e parenti stretti che si vogliono accertare del mio stato.

Decido di affidarmi alla sorte. Marco non mi lasciare… Marco è fantastico. Non solo non mi lascia, ma capendo che il mio cellulare è spento, chiama uno dei dottori suoi amici e si accerta della mia situazione.

Alle 6 del pomeriggio, in stato di dormiveglia, apro gli occhi e lo trovo pacifico e sorridente davanti a me. Lo guardo, giro gli occhi di scatto, ed eccolo li, l’aggeggio dei miei desideri. Il televisore!

“Marco, attacca l’antenna, proviamo subito, abbiamo il tempo!” gli dico ansioso. Tanti anni di esperienza mi insegnano ad essere previdente e non fare le cose all’ultimo momento. Quasi un sesto senso.

L’ultimo tassello mancante non c’è: l’antenna non funziona! Dramma. E mo’?

“Marco, corri in paese, compra una di quelle antenne mobili del cavolo, in qualche modo si vedrà”. Lui esegue, paziente. Parte e va, il tempo prima che chiudano i negozi c’è, ma il paese avrà una antenna da vendere, maledizione?

Il dormiveglia continua ma sono agitato, il tempo passa. Sono le otto di sera quando Marco rispunta.

Ha l’antenna! Se l’è fatta prestare da un amico professore del luogo. Li conosce tutti lui, diavolo di un commerciante!

Sistemiamo l’antenna: “Più qua, no, qua non si vede, più lì, Anna mettiti vicino che fai massa”.

“Ma che devo fare il palo d’antenna? A TE TI dovevono operare al cervello”, e va via disgustata.

Ed io di rimando: “A TE TI non si dice!”. E’ già uscita, per fortuna non mi ha sentito. Marco ride.

Di riffe o di raffe il segnale c’è, sta per iniziare!

Sono sveglio, mia moglie rientra e si siede in poltrona, il nonno è rimasto in sala d’aspetto a guardare la partita sul televisore a muro, quello per me irraggiungibile.

Lei ci osserva e guarda perplessa due pazzi, uno intubato che si agita come un forsennato e l’altro che lo guarda in bocca come un guru, ed entrambi che vedono rapiti una cavolo di partita in Germania.

Poverina, non sa cos’è l’emozione del calcio, non l’ha compresa fino in fondo: lei compatisce noi, io lei.

IL PIPITA E MARECHIARO

Segna il Pipita ma il telecronista dice che in realtà è fuorigioco: “Che cazzo me ne frega se è in fuorigioco, maledetto ascaro di Mediaset, fatti i cazzi tuoi, c’è fallo di mano? È gol, un gran gol!”, mi agito sotto il mare di tubi e buste, mia moglie che mi urla di star calmo, calmo sta ceppa di minchia, ha segnato il Pipita!

Marco mi tocca il braccio, scarica di adrenalina che passa.

Hamsik sale in cattedra, “Peppe IANNICELLI maledetto che lo attacchi sempre, come la mettiamo, non è mai decisivo, eh?”

Le mie paure si sgretolano. Dopo il vantaggio ho pensato: “Non siamo l’Inter, non faremo la fine dell’Inter”.

No, gli facciamo un bel servizio a ‘sti mangiacrauti, quattro polpette avvelenate gli diamo. Col raù, però. Vuoi mettere.

Al secondo gol di Marechiaro alzo i pugni al cielo, tubi che si muovono, la flebo che si agita in uno sferragliare di aste che rischiano di cadere, mia moglie che corre a placcarmi: “Ma sei scemo, Oddio, ho sposato uno che è tutto scemo!”.

Entra il dottore di Sorrento, è juventino il maledetto, si complimenta ma mi minaccia: se vuoi che ti tolgo il sondino sabato devi gridare forza Juve!

“Fanculo dottò, voglio morire intubato!”

Però è una brava persona, è gente ‘e mare, e ‘a gente e’ mare è brava gente, vero Pinuccio? Il sondino me lo toglierà.

GRAZIE RAFE’ (a denti stretti)

La partita è finita, Marco se ne va in compagnia di mia moglie e del nonno, io alzo gli occhi al cielo soddisfatto ed esausto.

Stasera Rafa ha scritto la Storia, ed è entrato nella mia storia, quella del 16 aprile che mi cambia la vita, la salute, e mi riconsegna a mio figlio.

La flebo più bella: quattro gol ai kartoffeln!

E fanculo pure a tutti quelli che ora mi attaccheranno su internet perché critico Rafa.

Ma che me ne fotte, io sono convinto delle mie critiche, ma il pacioccone in segreto lo amo lo stesso, perché lo sento in qualche modo vicino a me, fratello di panza e di vita.

“E tene ‘a ciorta buona. Fratello, portaci a Varsavia!”

Io ho fatto il tagliando, da giovedì sarò di nuovo a far danni in circolazione, più sciupato e forte che pria. Ci vedremo a Campania Sport!

Peppe, fatt’ allà, magnate sta parmigiana. Io mi godo le 4 polpette date ai tedeschi.

Che esagerazione, parlo peggio di Carlo Alvino, manco fossi Carlo Alvino….

No, Satana, esci da questo corpo!

 

Napoli, 21 aprile 2015

Umberto Chiariello

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