Pasolini e il calcio letterario

Secondo Pasolini, legato a Bologna e Roma, il calcio rappresentava “rito di fondo ed evasione, l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”

«Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro»

Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922) è stato ed è una delle grandi figure della cultura mondiale. Tra i suoi rinomati lavori da intellettuale poliedrico, al calcio è stato riservato un ruolo di rilievo. Così pure è stato riservato alla sua grande passione, il Bologna, squadra della sua città. Il 2 novembre 1975 fu brutalmente assassinato nei pressi di Ostia.

Uno spirito libero

Pasolini è stato un personaggio controverso, sempre controcorrente, un genio. Il grande Pier Paolo Pasolini ha vissuto la vita come amava viverla. Non si è fatto zittire da nulla, è stato sempre in prima linea. Da intellettuale, ha sperimentato tutti i generi artistici esistenti, in tutti i quali ha lasciato la sua impronta. Si definiva principalmente un poeta urbano, uno di quelli che pongono domande, sono curiosi, scrivono. Questo era anche il suo modo di vivere una delle sue grandi passioni, quella che non ha mai nascosto: il calcio e il suo Bologna.

Provocatorio come regista, come saggista, come sceneggiatore e come poeta, Pasolini era uno spirito libero. Comunista convinto, che si è confessato in circostanze avverse, si è anche dichiarato omosessuale dopo aver vissuto un’infanzia difficile. Pasolini era un polemista a tempo pieno. Un cattolico odiato dai comunisti e un marxista odiato dai cattolici. Altri preferivano definirlo pedofilo o pornografo.

Figura impegnata nella realtà sociale dell’Italia di allora, è stato uno dei grandi artisti e intellettuali che il Belpaese ha lasciato in eredità all’umanità. Oggi, però, vogliamo concentrarci sul suo amore per il calcio come se fosse un’altra forma d’arte. In circostanze in cui non si dava valore letterario al calcio, Pasolini ha sempre legato la sua vita al calcio e ha voluto lasciare un segno della sua grande passione.

Murale di Pasolini a Roma

 

Un calcio letterario

«I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara (giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici, qualche anno dopo, mi avrebbero chiamato lo “Stukas”: ricordo dolce bieco) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia: quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone (Reguzzoni è stato un po’ ripreso da Pascutti). Che domeniche allo stadio Comunale!».

Nessuno più di Pasolini conosceva il significato recondito di uno stadio pieno. Le passioni che il calcio genera e che ha saputo catturare in un’infinità dei suoi ampi e variegati lavori in generi come i saggi o i film: per Pasolini, il linguaggio sportivo, il modo di raccontare il calcio, aveva un suo codice che lo appassionava.

Attraverso il calcio, ha “radiografato” l’Italia dei suoi anni come l’immagine vivente di ciò che riflettevano il terreno di gioco e le gradinate piene. Quelle gradinate che dicevano molte cose sul significato del nostro Paese all’epoca.

È pleonastico affermare che, se fosse vivo, sarebbe contro tutto il cosiddetto “calcio moderno”. Fermo difensore dello sport dilettantistico, ha criticato l’ingresso dei grandi capitali in un calcio che oramai non lo rappresentava più. “Quali mani stanno accumulando gli enormi profitti della passione di ogni domenica?!”, si chiedeva.

Pasolini era sempre più interessato a giocare al calcio piuttosto che a guardarlo, anche se si era goduto le fasi più gloriose della storia del suo Bologna, la squadra della sua città e del suo cuore. Nella sua infanzia e adolescenza ha vissuto i grandi anni del Bologna, che ha conquistato Scudetti consecutivamente dal 1925 al 1929 e dal 1936 al 1939. Quello che era iniziato come un amore infantile divenne sempre più forte e così, anche se gli anni trascorsi a Roma gli avevano permesso di flirtare con i giallorossi, non ha mai dimenticato il Bologna.

Via Ozanam a Roma. “In questo quartiere nacque il famoso romanzo Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, cittadino di Monteverde”

 

Due anni fa, Valerio Curcio ha scritto il libro Il calcio secondo Pasolini. Scrive Curcio: «Dalle partite con i “ragazzi di vita” della borgata romana all’epica sfida tra il suo cast e quello di Bertolucci durante le riprese di Salò e di Novecento pochi mesi prima della morte. Questo libro è un percorso fatto di letteratura e testimonianze dirette, molte delle quali inedite, che attraversa il rapporto sentimentale tra Pier Paolo Pasolini e il gioco del calcio».

Uno sport che Pasolini ha praticato nella “sua” Bologna. Anni dopo, con il definitivo trasferimento nella capitale, Pasolini iniziò a frequentare i quartieri popolari di Roma, come il Prenestino, dove incontrò persone a cui si sarebbe unito per sempre, come Ninetto Davoli, che incluse a 16 anni nelle riprese di uno dei suoi primi successi Il Vangelo secondo Matteo.

«Tutte le persone con cui si trasferì in città erano di Roma e lo portarono alle Olimpiadi. Ci furono anche occasioni come il derby del ’57 quando andò come corrispondente del quotidiano L’Unità e decise di assistere alla partita in curva. Ha fatto un qualcosa di rivoluzionario: invece di raccontare la storia della partita ha semplicemente raccontato tutto quello che aveva sentito, raccontando come i tifosi si trovassero in una curva spontanea e popolare. Allo stadio ha trovato molte cose su cui riflettere ed è per questo che portava sempre con sé un piccolo taccuino dove scriveva tutto ciò che attirava la sua attenzione», aggiunge Valerio Curcio.

Da artista poliedrico, ha raffigurato il calcio in molte delle sue opere. Nelle opere letterarie ci sono molti più riferimenti che nei film. Il calcio è parte del contesto urbano di Pasolini: periferie ed edifici, campi dove non c’è nessuno. Nella Roma di quel periodo, tra grandi edifici e campi isolati, il calcio era sempre presente. Erano gli anni di Ragazzi di vita.

Insieme a Eduardo GaleanoOsvaldo Soriano, molti parlano di Pasolini come di uno dei grandi intellettuali che ha deciso di abbracciare il calcio come elemento letterario. «C’è sempre stato un elemento rivoluzionario nel calcio. Era difficile negli anni di Pasolini, nel senso che era un intellettuale marxista e diceva di andare allo stadio a fare il tifo per la sua squadra», continua Curcio.

Anche a livello politico ci fu un rifiuto. Nella cerchia del Partito Comunista non era ben visto perché il calcio era considerato un elemento di distrazione. Era sempre stato contrario a questa affermazione, rivendicando la sua indipendenza perché il calcio poteva essere vissuto anche in modo politico. Affermava che il problema non era che gli operai andassero allo stadio la domenica, ma che la mattina dopo ci avrebbero ripensato con una coscienza di classe. Quello tra calcio e politica è un binomio riconosciuto, ma c’è ancora chi dice “invece di guardare il calcio pensa alle cose serie della vita”.

Persone come Pasolini reputavano il calcio come uno dei tanti modi in cui l’uomo potesse cambiare il mondo.

Il suo amore per il pallone ha anche interrotto le registrazioni cinematografiche. Lì, il regista stesso ha organizzato delle partite improvvisate tra il cast, a cui ha partecipato giocando come esterno sinistro. Pasolini ha anche fondato la prima Nazionale dello Spettacolo, una squadra di calcio composta da personalità e intellettuali italiani.

Una delle storie più discusse ha avuto luogo mesi prima della morte dell’artista, quando il film Salò o le 120 giornate di Sodoma, uno dei suoi film più demonizzati e criticati, fu girato nei pressi di Parma. Il successivo Novecento contro Centoventi fu un incontro tra i calchi del film di Pasolini e quello di Novecento di Bernardo Bertolucci. Bertolucci era stato assistente dello stesso Pier Paolo in uno dei suoi primi film e il rapporto, a un certo punto, si interruppe. Ricorda Curcio: «Era il compleanno di Bertolucci. Laura Betti fu la protagonista di quell’episodio, era amica di entrambi. Non andavano molto d’accordo, ma Pasolini aveva criticato le ultime opere di Bertolucci e c’era una certa tensione. La festa era piena di cose assurde… i film erano della stessa casa di produzione ma erano pieni di contraddizioni, quasi come una lotta di classe: da una parte quelli di Pasolini, con pochi soldi, e dall’altro quelli di Bertolucci, che pagavano tanti soldi alle star internazionali e le portavano ai festival di tutto il mondo».

Pasolini e Bertolucci

 

La partita rimase negli annali col nome di “Novecento VS Centoventi” e assistette alla vittoria della squadra di Bertolucci, il quale però si limitò a guardarla. A testimonianza dell’evento e del risultato, le riprese di quella sfida sono oggi visibili nel docufilm di Laura Betti Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sognouscito nel 2001.

Quando scendeva in campo, da amatore e spinto dalla passione, l’artista si ricongiungeva con il mondo e con la parte migliore di sé. Il tutto in un legame intrinseco con la popolarità e con la sinistra italiana, rappresentato da un calcio semplice e di altri tempi. Per Pasolini, una partita giocata in un parco o in strada, magari con porte e palloni di fortuna, rappresentava le radici dell’umanità, fondamento del pensiero dell’intellettuale. Infine, il calcio si presentava come una gioia primordiale, “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, rito nel fondo, anche se evasione”.

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