Non c’è mai stato un altro Scirea

Gaetano Scirea ha lasciato un esempio di straordinaria bellezza, refrattario al sensazionalismo marchio di fabbrica di molti personaggi odierni.

Il nostro titolo su Gaetano Scirea sarà retorico e abbiamo sempre odiato questa retorica. Eppure, per quanto riguarda il leggendario libero azzurro, non possiamo non fare un’eccezione. Il fuoriclasse lombardo morì esattamente 31 anni fa, in un maledettissimo incidente che se lo portò via. Più passano gli anni, più Gaetano Scirea torna attuale nel mondo d’oggi.

Lo splendido speciale di Federico Buffa, “SkyBuffa racconta Gaetano Scirea”, andato in onda su Sky nelle feste di Natale 2018, ha ricordato le circostanze di quel maledetto incidente. Appena ritiratosi dal calcio, l’amore per questo sport lo condusse in Polonia a visionare un’avversaria della Juventus. Proprio quella Juventus a cui fu legatissimo per tutta la carriera, nonostante Gaetano Scirea fosse nato e cresciuto interista.

Un’icona di correttezza, serietà e professionalità, capace di unire due tifoserie acerrime nemiche. Cosa assolutamente impensabile nel calcio odierno. Che da ragazzino Scirea tifasse Inter era risaputo. La conferma si ebbe alla trasmissione “A tutto campo” del 1986, condotta da Gigi Baranzini. Elemento che però non ha avuto alcuna importanza in campo né tantomeno agli occhi dei tifosi bianconeri, visto l’amore che ha dato e ricevuto.
Ma riavvolgiamo il nastro:

Correva l’anno 1974 e Gaetano Scirea stava per debuttare in Serie A con la maglia della Juventus. A quel tempo in pochi si resero conto dell’importanza che avrebbe rivestito per la storia della Juventus e per i giovani difensori di tutto il mondo.
Al suo debutto in bianconero, a soli 21 anni, Scirea si apprestava a diventare non solo un grande della Juve, ma anche uno dei più grandi difensori di tutti i tempi.

Un giovane Gaetano Scirea con la maglia dell’Atalanta

 

Affermatosi comedifensore che usava il cervello ancor più del fisico, riusciva a vincere i duelli leggendo la giocata ed intercettando elegantemente i passaggi, diventando così un esempio per i giovani difensori.
Questa icona della Juventus si è però anche imposta come leggenda italiana.

Juventus

Esclusi gli inizi all’Atalanta, Scirea disputò tutta la sua carriera calcistica con la maglia della Juventus. Ben 14 stagioni, fino al suo ritiro nel 1988. In tutto furono quasi 400 partite di Serie A, dove conquistò una pletora di trofei nella sua avventura in bianconera.

E dire che Scirea non nacque difensore. All’Atalanta, infatti, ricopriva il ruolo di centrocampista.
Dopo l’addio di Čestmír Vycpálek, fu Carlo Parola a puntare sul ragazzo Lombardo, cucendogli addosso la posizione che lo avrebbe innalzato agli annali della storia. L’eredita lasciata da Sandro Salvadore (oltre 300 presenze in Serie A con la Juve) era pesantissima, ma Gaetano Scirea non solo non lo fece rimpiangere, ma scavò un solco rispetto a tutti i grandi centrali bianconeri del passato.
Fu Achille Bortolotti a portarlo a Torino.

«Questo ragazzo te lo porto io personalmente a Torino. Che sia un campione, dovrà dimostrarlo; che sia un grande uomo, posso già garantirtelo». 

E pensare che all’inizio in molti dubitarono della fisicità di Scirea. Prima che il libero si fortificasse e desse un saggio della sua straordinaria classe ed intelligenza tattica. Scirea era un marinaio sereno anche nelle tempeste più tumultuose.

Conquistò sette volte la Serie A, due volte la Coppa Italia, una Coppa dei Campioni con la Juve nel 1984 e molto altro ancora.
Era noto per la sua classe difensiva, l’intelligenza tattica e, soprattutto, la sua sportività.
Nessun cartellino rosso nella sua carriera. All’arrivo di Trapattoni, Scirea fu, pertanto, affiancato da un allenatore e da un mentore che ne comprese appieno il talento. Con il Trap, il Libero non rappresentava  solo l’ultimo baluardo, bensì il trampolino di lancio per le transizioni offensive. Il tecnico lombardo amava definirlo «un leader con il saio da frate».

Scirea con Zoff e il Trap

 

A differenza di Armando Picchi, libero della Grande Inter, a Scirea venivano conferite consegne di costruzione del gioco.
Lontano dall’ostinazione di Picchi, Scirea era un personaggio molto più accomodante. Le testimonianze dei compagni di squadra, tifosi ed allenatori lo hanno sempre dipinto come la calma in persona. Un uomo che giocava la partita in modo tranquillo e con grande rispetto di compagni ed avversari.

Darwin Pastorin definì Scirea “il libero gentiluomo”.

La teatralità tipica del calcio dell’epoca non faceva per Scirea, con il suo silenzio in campo assordante.
I compagni di squadra sapevano cosa ci si aspettava da loro e cosa Scirea era capace di fare con la palla ai piedi.
Gli avversari raramente lo sentivano arrivare: Scirea intercettava il pallone con una perfetta scelta di tempo ed una facilità disarmante.

Mentre la ridefinizione del ruolo di Picchi portò tantissimi trofei all’Inter, l’adattamento di Scirea del ruolo di libero superò, nelle nuove sfaccettature, quello del suo predecessore. Trapattoni ricoprì il ruolo di allenatore della Juventus per un decennio e, per ognuna di queste stagioni, Scirea fu il suo fedele luogotenente.

L’eleganza fisica di Scirea, con i suoi tratti languidi e abbronzati, la sua struttura eretta ed i suoi folti capelli neri, sempre al loro posto, era una rappresentazione altrettanto perfetta. Scirea era la definizione di compostezza. Quando scendeva in campo, il tecnico e i compagni di squadra effettuavano una preghiera collettiva di ringraziamento, sapendo che il libero della Juve avrebbe vegliato su di loro.

Durante i suoi due lustri a Torino, Trapattoni riuscì a lasciare un’eredità non indifferente, grazie alla trasformazione del vecchio Catenaccio in Zona Mista. Trapattoni fu capace di mettere insieme tutte le virtù del gioco all’italiana e dei suoi interpreti, ridefinendo l’assetto difensivo, fondato proprio sulla leadership e le qualità di Scirea.

Zoff, Gentile, Cabrini e Scirea furono il cuore pulsante della difesa della Juve per sette stagioni. Quel pacchetto arretrato si rivelò un mix perfetto di spada e fioretto, con Gentile che offriva tutto ciò che Scirea non offriva e viceversa.
A rendere ancora più impenetrabile quella Juventus si aggiunse l’enorme esperienza tra i pali di Dino Zoff.

La vittoria della Coppa dei Campioni fu ottenuta nella tristemente famosa notte del 1985 all’Heysel.
Al cospetto di quella tragedia, l’1-0 contro il Liverpool passò in secondo piano, ma va ricordato che furono Scirea e Phil Neale, il capitano del Liverpool, a rivolgersi ai tifosi ed invocare la calma in quei momenti orribili all’interno dello stadio.
Sebbene non ebbe la possibilità di sollevare quella Coppa dei Campioni, Gaetano Scirea si comportò da vero capitano, con contegno, professionalità, umanità e la calma che lo ha sempre contraddistinto.

Nazionale

Difensore intelligente ed abile, in grado di guidare la squadra da dietro con una qualità che non aveva nulla da invidiare a quella di Franz Beckenbauer, Scirea fu capitano di mille battaglie della Vecchia Signora, il che, considerata la storia della Juventus, è un onore per qualsiasi giocatore. Il difensore nativo di Cernusco sul Naviglio fu anche il Capitano della Nazionale, arrivando a vincere un Mondiale con gli Azzurri nel 1982. Questo è probabilmente il più grande traguardo per un calciatore.
Il palmares di Scirea recita che il centrale lombardo ha vinto tutto in ambito di squadra.
Rimane uno dei soli cinque giocatori nella storia del calcio a vincere tutte le competizioni per club UEFA e FIFA.
Nessun Pallone d’oro solo perché questo titolo sfavorisce esageratamente i difensori.

Nel 1975, a soli 22 anni, Scirea esordì per gli Azzurri sotto la guida di Enzo Bearzot. Scirea totalizzò 78 presenze con la nazionale italiana nel corso della sua carriera, segnando anche due reti.
La sua prima apparizione in un torneo internazionale fu ai Mondiali del ’78.

Ma furono i Mondiali successivi, nel 1982, che videro il suo contributo più importante alla causa azzurra.
Insieme ai suoi compagni restò imbattuto in quel torneo, conquistando il trofeo più prestigioso nel mondo del calcio dopo aver sconfitto la Germania in finale.

Scirea con la Coppa del Mondo vinta nel 1982

 

Scirea giocò tutti i 90 minuti in tutte e sette le partite, contribuendo anche con un assist in finale. In alcune occasioni vestì la fascia di capitano dell’Italia, prima di terminare la propria carriera con gli Azzurri nel 1986, lasciando il posto ad altri grandi italiani come Franco Baresi e Ciro Ferrara.

Gaetano Scirea ha collezionato quasi 400 presenze Serie A con la Juve, oltre a 78 presenze con l’Italia, dati che lo collocano tra i primi 20 giocatori azzurri con più presenze. Dotato di una leadership non indifferente, cosa che si sposava perfettamente con le sue qualità difensive, di intelligenza e classe, caratteristiche per le quali meritò il rispetto non solo di compagni ed avversari, ma anche fuori dal campo.
Non è infatti un caso se fu sempre benvoluto da tutte le tifoserie.

Un altro Scirea

Nel calcio di oggi vediamo calciatori dimenarsi tra like su social network ed autobiografie, vantandosi di essere politically incorrect e di dire le cose in faccia.
Ai tempi di Scirea, e non solo, “dire le cose in faccia” significava parlare in presenza, guardandosi negli occhi.
Adesso rende “fighi” pubblicare storie Instagram, scrivere su Twitter, etc.

Se Gaetano Scirea avesse giocato nelle squadre di Materazzi o Chiellini avrebbe certamente impartito loro una lezione di rispetto, educazione e del “saper vivere”. Per avere un altro Scirea occorrerebbe un’Italia in rinascita, che fondi nuovamente su valori solidi, su famiglie votate all’educare prima una persona, poi un calciatore.
Adesso possiamo osservare Gaetano Scirea solo in fotografia, con quello sguardo fiero, persino timido, intriso di bontà e lontano dall’odierna spacconeria. Ci piace ricordare Scirea che, dopo aver preso il diploma a 34 anni, così commentò la frase di Norberto Bobbio «Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione». Pochi giorni dopo scrisse una lettera alla moglie Mariella: «Ho vinto tante coppe e tanti titoli, ma questo diploma è forse quello che mi rende più fiero».

Scirea con la moglie Mariella e il figlio

 

Magari è utopia, ma da inguaribili ottimisti speriamo che un giorno arrivi un nuovo Scirea in campo, come quando Gaetano redarguì compagni e avversari in uno Juve-Fiorentina pieno di polemiche e gioco duro: «Non vi vergognate? Le vostre mogli in tribuna vi guardano». Marco Tardelli, colui che ricevette il passaggio da Scirea prima di scaraventare in rete il pallone del 2-0 contro la Germania (il gol dell’urlo, per intenderci) dichiarò: «se si vogliono altri Scirea, e ce ne sarebbe indubbiamente bisogno, prima di lavorare sui ragazzi, è necessario lavorare sui genitori. Insomma, inutile illudersi: per avere un altro Scirea ci vorrebbero ancora il suo papà e la sua mamma».

Gaetano Scirea vive oggi in tutti noi. Ha lasciato un esempio di straordinaria bellezza, in campo e fuori, refrattario al sensazionalismo, marchio di fabbrica di molti personaggi odierni. Come ricorda Dino Zoff: «Oggi l’esasperazione dei toni mi fa sentire ancora più profondamente il vuoto della perdita. Gaetano mi manca nel caos delle parole inutili, dei valori assurdi, delle menate. Manca il suo clamoroso silenzio».

 

Vincenzo Di Maso

 

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