CALCIO IN ROSA, tra arretratezza culturale e incapacità al comando

Intervista al direttore generale dell' Empoli Ladies FBC Roberto Galoppi.

di Valeria Iuliano

 

 

Il calcio femminile italiano, recentemente nel caos, è ormai un movimento sportivo che cresce con assoluta lentezza rispetto ad altri Paesi europei, data la presenza di elementi che mal contribuiscono allo sviluppo di detto movimento.
Aiuterà a capire le problematiche del calcio femminile in Italia un uomo che ha fatto del rispetto e della stima, verso l’universo femminile, una scelta professionale e di vita, diventando direttore generale dell’ Empoli Ladies FBC, il dott. Roberto Galoppi.

Direttore, possiamo affermare con certezza che in Italia vi sia ancora un problema culturale alla base di un flemmatico sviluppo del calcio femminile?

“Sicuramente l’arretratezza culturale verso il calcio femminile è una componente di rallentamento nello sviluppo di questo sport, ma ci sono anche problemi sociali e strutturali. Tante ragazze che fino a 10/12 anni giocano nelle squadre maschili poi si vedono costrette ad abbandonare questo sport, perché magari nella loro zona di residenza e nel territorio limitrofo manca una squadra femminile o non ci sono strutture adeguate a supportare questa loro passione.
La mentalità di tanti personaggi che ruotano attorno a questo mondo: questi ancora non si ‘capacitano’ come una donna possa giocare al calcio.
Ma posso dire che i sacrifici che fanno queste atlete per coltivare questa passione sono da premiare e da prendere da esempio per un rilancio sociale e sportivo a 360 gradi”.

Non è affatto casuale la domanda che Le ho appena posto. Come Lei ben sa, la legge n.91 del 1980, che disciplina il rapporto di lavoro sportivo, è da definirsi eufemisticamente preistorica e forse anche in contrasto con la Costituzione: secondo questa legge, le calciatrici non possono ottenere lo status di professioniste. Ritiene che questa disuguaglianza di genere possa essere superata nel breve periodo o siamo ancora lontani dalla svolta?

“Mi sembra che solo 4 discipline sportive siano riconosciute a livello professionistico. Tra queste non figura il calcio femminile. Penso che sia doveroso, e mi auspico anche che sia fatto in tempi brevi, riconoscere dei diritti doverosi e basilari, abrogando quella legge arcaica e ormai medioevale. Una ragazza che magari si allontana da casa per fare in maniera professionale uno sport deve necessariamente essere tutelata con uno stipendio che le permetta di vivere, deve vedersi riconoscere una forma pensionistica quando smette (questi anni di sport devono essere considerati alla stessa stregua di un lavoro). I sacrifici di oggi devono essere tramutati in un mezzo di sussistenza per il futuro”.

Il Commissario Straordinario della FIGC, Roberto Fabbricini, ha dichiarato tempo fa di voler affidare il calcio femminile ad una maggiore professionalità, pur riconoscendo il lavoro svolto in questi anni dalla Lega Nazionale Dilettanti. Cosa pensa a riguardo e cosa è accaduto dopo quelle dichiarazioni?

“In questo momento il calcio femminile è diventato oggetto del contendere tra Figc e Lnd.
Prendendo spunto da un articolo scritto in merito da Valeria Ancione sul Corriere dello sport, siamo come un bambino conteso dai genitori durante un divorzio.
Il calcio femminile in tutte le sue componenti non è un pacco postale; le atlete, gli allenatori e noi dirigenti siamo giunti ad una conclusione: vogliamo crescere e per farlo vogliamo far parte della FIGC. Apro una parentesi perché ho letto tanti commenti superflui: non cerchiamo i soldi e gli stipendi del maschile, è utopistico e irrealizzabile nel breve termine, ma la possibilità di avere a livello organizzativo e atletico-medico-sportivo una certa professionalità. Tanto la LND quanto il commissario Fabbricini nelle schermaglie di questi giorni dicono che il calcio femminile stia loro a cuore… Beh, lo dimostrino ascoltando le nostre volontà, mettendole in pratica: ha ragione il dott. Sibilia nel dire che il presidente FIGC aveva la possibilità di equiparare le calciatrici ai calciatori con l’abrogazione dell’art. 91.
Quindi può essere stata un’occasione sprecata; dall’altro lato la LND può rinunciare ad impugnare provvedimenti presi dal dott. Fabbricini. Un passo indietro da parte di entrambi per il bene dello sport, visto che dovrebbero tutelarlo e non distruggerlo”.

Se potesse lanciare un messaggio a tutti gli individui di sesso maschile che discriminano le donne nel mondo del calcio e del giornalismo sportivo, cosa direbbe?

“Non mi piace lanciare messaggi.
Come dicevano i latini “verba volant scripta manent”: le parole se le porta via il vento…preferisco i fatti!
Invito quelli che hanno queste remore e inibizioni ad andare a vedere allenamenti e/o gare di campionato di calcio femminile. Ad informarsi su qual è una giornata-tipo di una calciatrice.
Posso esprimere un mio desiderio?
Un primo grande passo sarebbe quello di smetterla di dire calcio maschile o calcio femminile.
Il calcio è unico e solo, un meraviglioso sport!
Grazie per questa opportunità, Valeria! Un saluto a te e ai tuoi lettori.

 

Grazie a Roberto Galoppi per l’importante contributo informativo su un tema troppo spesso trascurato mediaticamente come il calcio che si colora di rosa…

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