La Fatal Sassuolo
Diciamolo chiaro e tondo: il rischio che Reggio Emilia, il Mapei Stadium, ancora una volta si riveli “la fatal Sassuolo” è altissimo.
L’anno scorso quel 2-2 – con l’infortunio di Hamsik che regalò con uno sciagurato retropassaggio di testa il gol ai neroverdi – ci costò nei fatti il secondo posto e l’accesso diretto ai gironi di Champions. Chi dice che non fu un gran danno non si rende conto che la disputa del preliminare col Nizza ha costretto il Napoli ad una stagione lunghissima di cui solo adesso ne stiamo pagando le conseguenze sul piano fisico e mentale.
E non dimentichiamo che l’avventura di Sarri a Napoli cominciò proprio da questo stadio maledetto (per noi) con una sconfitta che lo mise subito sulla graticola.
Insomma, questo pareggio rischia di essere il capolinea di tutti i nostri sogni, visto che la Juventus, alla sua maniera, soffrendo e sbuffando, facendo storcere la bocca, al cospetto di un Milan brillante che l’ha messa sotto per gran parte della partita, e con la solita dose di fortuna (vedi traversa clamorosa del turco milanista sull’1-1), la partita l’ha portata a casa, salutando di nuovo la compagnia e mettendosi a distanza di sicurezza di 4 punti ad 8 turni dalla fine.
Ed allora è il caso di mettersi d’accordo da quale punto di vista vogliamo vedere le cose.
Il punto di vista piagnone:
giocare sempre prima della Juve mette pressione; l’erba alta e il campo bagnato; lo Scansuolo (che è la succursale della Juve, che in parte è vero visto che Sensi, Lirola, Rogerio sono della Juve, il DS Carnevali in rapporti intimi con Marotta, Squinzi eletto con i voti dea Fiat in Confindustria, etc. etc.) che a Torino ha beccato 7 gol e si è scansato col Napoli gioca alla morte (come è giusto che faccia d’altronde); Consigli che a Torino si tuffava dalla parte sbagliata e non ne beccava una, col Napoli fa il fenomeno (ma il portiere è pagato per parare, quindi non vedo la meraviglia); Politano bloccato da Marotta per non farlo venire a Napoli che ci punisce, quasi un segno del destino cinico e baro. Tutte argomentazioni che hanno pur un fondo di verità ma che francamente lasciano il tempo che trovano. Non possono bastare da sole a giustificare la frenata del Napoli.
Una seconda linea è quella del vittimismo: siamo sfortunati. E bersagliati.
Ed in effetti, se pensiamo che Insigne è il leader della classifica dei pali colpiti, che punto a punto la differenza la fanno i particolari; se pensiamo che ieri da un lato il redivivo e ritrovato Milik, una furia, colpisce la traversa in rovesciata volante dopo il pareggio, un tiro che avrebbe dato la vittoria e cambiato i titoli ed i commenti (oggi si parlerebbe di grande Napoli e grande rimonta), e dall’altra Buffon è graziato dalla traversa su cui si stampa un pallone ciclonico ed inarrivabile del turco milanista dal nome impronunciabile, sempre sull’1-1, in effetti c’è da pensare che la fortuna aiuta più che gli audaci i più forti (e che cavolo, non c’è giustizia a questo mondo: hanno il potere, le vittorie, e pure la fortuna! Si pensi al palo del Tottenham all’ultimo minuto a Londra in Champions….).
Per non dire che i fautori di questa linea di pensiero ricordano sempre che la differenza di 4 punti la fanno gli arbitraggi, se si pensa che i Napoli finora ha goduto di qualche favore (vedi Mertens a Crotone), ma anche di qualche torto (vedi Koulibaly sempre a Crotone e lo stesso Mertens a Cagliari), ma non ha avuto vantaggi pratici né ha pagato dazio. Mentre la Juve quando ha avuto torti non ha pagato dazio, vedi Udine, quando ha avuto vantaggi arbitrali se ne è fortemente avvantaggiata, come a Cagliari (mani di Bernardeschi, palese rigore pro Cagliari sullo 0-0 nel secondo tempo, e fallo da rigore per la Lazio sempre sullo 0-0 nel secondo tempo).
Certo, argomenti che esistono ed hanno anche un peso specifico. Ma non sposo questa linea, perlomeno non credo che la differenza sia tutta lì, pensando a sfortuna e favori arbitrali.
Io penso che la differenza invece la faccia la diversa carrozzeria delle due squadre, intendendosi il diverso peso delle due macchine lanciate in corsa in termini di esperienza e capacità di lottare al vertice.
Usciamo dal falso problema del bel gioco:
la Juve storicamente e strutturalmente non è stata quasi mai un bel vedere come gioco di squadra, non è stata per dire il Milan di Sacchi o l’Ajax di Cruijff che hanno lasciato il segno nella storia del calcio, ma da sempre una squadra ricca di campioni, organizzata difensivamente come la migliore delle provinciali, che si affida alla forza dei suoi fuoriclasse per vincere le partite. Era così anche ai tempi di Trapattoni, Lippi e Capello, recentemente di Conte e Allegri. La bellezza nel vedere la Juve sta nelle giocate dei suoi campioni che impreziosiscono la partita e la risolvono.
Io ricordo bene la Juve che dominava gli anni settanta venire al San Paolo, chiudersi in difesa davanti a Zoff, lasciare sfogare il Napoli per poi colpirlo con una sola zampata, magari di Virdis, e raramente ci ha lasciato le penne (come quel magico 14 ottobre 73 con Cané e Clerici). Ma una combinazione Dybala-Higuain -Dibala vale il prezzo del biglietto, come il cross di sinistro di Khedira che consegna a Cuadrado la palla della vittoria ieri dopo aver sofferto le pene dell’inferno.
Il Napoli non è così: non ha Buffon, Barzagli, Chiellini, Marchisio, Khedira, Mandzukic, Matuidi, gente abituata a vincere, né gente chiamata a fare la differenza per il sol costo del cartellino, tipo Pjanic, Dybala e soprattutto Higuain. Questi ultimi due da soli valgono all’acquisto una volta e mezzo tutto il Napoli titolare, 130 a 85 milioni di euro! Vorrà pur dire qualcosa…
Il Napoli può vincere solo attraverso il suo gioco mandato a memoria che ne esalta le pur notevoli individualità, che però prese singolarmente non sono di prima grandezza internazionale, ma di buona seconda fascia: Mertens, il nostro centrattacco e bomber, nella nazionale belga fatica a trovar posto e comunque non certo da centravanti ma da ala destra, l’unico ruolo in cui a Napoli non giocherebbe mai; circa Insigne e Jorginho, si è visto la fatica e le figure che hanno fatto nella pessima nazionale italiana, di cui il primo è senz’altro il miglior talento disponibile attualmente; Hamsik, stella assoluta della Slovacchia, gioca in un piccola nazionale e non vedrà il mondiale se non dal divano di casa, Callejon nella Magna Spagna si accontenta di sporadiche convocazioni e non andrà al mondiale probabilmente, Allan che sta facendo un campionato mostruoso il CT del Brasile manco lo prende in considerazione. Sono tutti ottimi giocatori, alcuni anche campioni oserei dire (i fuoriclasse sono altra cosa, una genìa tutta particolare a cui appartengono un centinaio di giocatori nella Storia a dir tanto, di cui una ventina da Olimpo a cui appartiene il D10’s), ma che si esaltano solo attraverso il collettivo sarriano al meglio delle loro capacità. Quindi il bel gioco organizzato non è un fatto estetico, ma una necessità per noi.
Io ci ho creduto: ho creduto che con il suo gioco il Napoli avesse un valore aggiunto tale da colmare il gap di potere economico, tecnico, ed anche fisico (la taglia degli juventini è nettamente superiore alla nostra) e potesse vincere il titolo.
Il ragionamento era ed è ancora il seguente: 48 punti nel girone di ritorno scorso, 48 nel girone d’andata di quest’anno, se si conferma nel girone di ritorno ancora con 48 punti chiude a 96; considerando che la Juve ha vinto a 91 l’anno scorso (ma gestendo nel finale), vince il titolo. La cosa è ancora possibile. Poi, se la Juve supera questa cifra, chapeau. Noi abbiamo fatto il nostro, questi sono i limiti massimi a cui possiamo arrivare ed è già tanto, è cammino da record.
Ed allora perché il Napoli frena, anche vistosamente e paradossalmente non avendo più le Coppe ma la settimana-tipo di lavoro tanto cara a Sarri? Dice bene Fabbroni: sarebbe il momento di accelerare, ma avendo messo il piede a tavoletta non ce n’è più.
Perché il Napoli non ne ha più: sono in calo quelli che hanno portato la carretta, i Koulibay e gli Allan con la loro forza fisica, sono in calo quelli che hanno risolto le partite, i 4 tenori lì davanti.
La differenza tra noi e loro la sta facendo soprattutto l’incidenza dei giocatori più rappresentativi.
Basti vedere Dybala, al rientro dopo un lungo periodo buio che la Juve non ha pagato grazie alla ricchezza della sua rosa: sta facendo faville.
Insigne – dopo la Roma dove fu uno contro tutti – non ne imbrocca una, fallendo a San Siro il gol della vittoria e ieri 3 palle gol assurde che un giocatore del suo livello non dovrebbe mai sprecare.
Uno-due Dybala-Higuain = gol; uno-due Insigne-Mertens = pallonetto alto (Inter). Ieri Dybala gol, ieri Lorenzo tre gol sprecati.
Non voglio gettare la croce addosso al mio amato Lorenzino, che ha mostrato carattere da leader in tante occasioni e si e rivelato come stoccatore nelle partite più importanti, vedi Borussia Dortmund al San Paolo, finale di Coppa Italia con la Fiorentina (doppietta), Madrid col Real, la stessa Juve.
Lui ha personalità, è il migliore per assist, ha avuto finora un rendimento altissimo. Ma sotto porta non ha la freddezza necessaria che ad un campione si richiede e vede poco e male la porta, se si considera la percentuale di tiri nello specchio rispetto ai tentativi. Poi mettiamoci che quest’anno la sorte è stata matrigna, visti i tanti legni colpiti, ed il quadro è fatto.
Ma il discorso non riguarda solo lui, coinvolge Mertens, Callejon e Hamsik.
Insomma, i campioni del Napoli non riescono ad incidere come quelli della Juve quando la squadra è in affanno e fa fatica ed ha bisogno della stoccata vincente, del colpo di classe isolato. In alcune partite ci sono riusciti, da un po’ di tempo no. Questo sta facendo la differenza.
La seconda differenza deriva dalla rosa e sua gestione.
Partiamo da quest’ultima, la gestione della rosa. E chiediamoci se qualche piccola responsabilità ce l’ha pure il nostro grande tecnico, che vorrei a Napoli a vita, e mi auguro rimanga: quando invocavamo un maggior uso del turn-over – ma non per salvare le coppe, che (ripeto) almeno per quest’anno è stato giusto abbandonare per fare all-in sul campionato sapendo che trattasi comunque di impresa improba se non disperata – era per avere più frecce al nostro arco nel momento topico della stagione.
Parliamoci chiaro, dopo due anni che sta qui non sappiamo ancora che valore abbia Marco Rog, che credevo fosse l’acquisto migliore che avessimo fatto nella passata stagione.
Sarri ha mostrato di vedere solo Milik e Zielinski come alternative ai titolari. E Milik ieri ha dimostrato di essere un signor centravanti sul quale Sarri crede ciecamente, quindi è stato giusto aspettarlo.
Dopo un periodo di prova, in cui sembrava dovesse scalzare il titolare, Diawara è scomparso dal monitor, Rog ha visto solo le briciole e non ha mai messo la maglia da titolare in campionato manco per sbaglio.
Il giovane Ounas ancor peggio: solo scampoli di gara ed una considerazione pressoché inesistente.
Giaccherni e Maksimovic, e Pavoletti prima, costretti ad andar via per giocare.
Tonelli dalla tribuna al campo solo quando proprio non c’era nessuno a cui affidarsi. il solo Chiriches ha goduto della stima del tecnico tra un infortunio e l’altro (ha una debolezza congenita ad una spalla). Maggio e Mario Rui sono dal tecnico considerati riserve, non alternative ai titolari di pari livello o giù di lì. Rui il campo lo ha visto solo ad infortunio di Ghoulam accaduto, e ci ha messo tempo per trovare il ritmo-gara.
Sepe poi ha buttato un’altra stagione, con Reina che non gli ha mollato la maglia pressoché mai.
Oggi magari sarebbe servita qualche alternativa in più con il motore imballato nelle gambe e nella testa che il Napoli si ritrova.
Li capisco, poveri ragazzi: hanno tirato la carretta come mai, fatto record su record, e si trovano sempre quei cannibali davanti.
Per gente che è in work in progress, e non strutturata mentalmente per vincere, è molto complicato.
Con la sua gestione parca del turn over Sarri si ritrova i 12 titolari (gli undici più Zielinski aggiunto, orfani di Ghoulam, perdita gravissima), con una stagione lunghissima ed un minutaggio altissimo, con il solo Milik che scalpita, senza alternative credibili alle spalle.
Se penso che a Londra col Tottenham, e ieri col Milan, Allegri ha voltato la Juve come un calzino ed ha trovato dalla panca molte soluzioni vincenti, la differenza sta tutta lì.
Una differenza che chiama in causa anche la società, colpevole a gennaio non tanto di non voler spendere (è una balla vera e propria tirata fuori dagli haters di professione, che vedono in De Laurentiis il pappone che li percula), quanto – ancor peggio – di non essere stata capace di spendere, vedi i casi Verdi, Younes e Politano.
Ed avendo la possibilità di riportare a casa Fabio Quagliarella, smanioso di venire a dare una mano per chiudere da trionfatore nella città dei colori che ama, non ci ha manco provato a farlo, nonostante sanno tutti che Ferrero per soldi vende anche la mamma, se ce l’ha ancora (altrimenti è capace di inventarsela).
Questo è l’unico appunto che mi sento di muovere a calciatori, tecnico e società (in ordine di apparizione nella mia analisi) ai quali va il mio personalissimo ringraziamento ed ai quali nessun processo spero sia intentato, visto il miracolo che stanno compiendo di tenere in vita uno dei campionati maggiori altrimenti morto come tutti gli altri, pur disponendo della metà o un terzo delle risorse dei top club italiani ed europei.
Non è finita.
Chi pensa ai processi ed ai fallimenti mostra solo due cose: incompetenza e malafede.
Ora tutti invocano sceicchi, americani, cinesi, compriamo i campioni, quello non vuole vincere, etc.
Io ricordo a tutti voi una sola semplice aritmetica verità: è finita solo quando è finita.
E non è ancora finita. Non può essere finita. Non può finire così. E quando sarà finita, applausi, non processi. Come si deve ai protagonisti delle grandi sfide, vincitori e vinti.
Sarò pazzo, cocciuto, magari finiremo a 10 punti, ma io ci credo ancora.
Mi arrenderò solo di fronte all’evidenza dei numeri, unici giudici incontrovertibili.
Fino ad allora, dirò sempre: fino al Palazzo, Comandante!
Napoli, Pasqua 2018
1 aprile 2018
Umberto Chiariello